L’esperienza del Senior Practitioner: modulo 4

L’esperienza del Senior practitioner: modulo 4

“Il profilo comportamentale del cliente e la diagnosi condivisa”: come si analizzano i comportamenti del Coachee e come si arriva a definire quali sono le competenze su cui lavorare? È quello che hanno analizzato le persone che frequentano la 43a edizione del Senior Practitioner in Business Coaching nel corso del quarto modulo, tenuto da Patrizia Bega. Behavioural Event Interview, role play e In-basket: come si usano e perché sono utili? Lo abbiamo chiesto a Chiara Bodini, CEO and Founder di Purpose&Talent.

  • Ci racconti qualcosa su di te e sul motivo che ti ha spinto a iscriverti al Senior Practitioner in Business Coaching?

Fin da piccola ho compreso la differenza tra fare qualcosa per vivere e vivere per quello che si fa. Crescendo, ho iniziato a interrogarmi su quale fosse lo scopo della mia vita e ho compreso che avrebbe avuto a che fare con le persone e con la comunicazione. Ho lavorato alle Nazioni Unite a New York, poi nelle relazioni istituzionali a Milano e ho fatto volontariato nel terzo settore: tutte esperienze che ho amato e dalle quali ho imparato molto, soprattutto su me stessa. Ho cominciato a scoprire quali fossero i miei talenti, le mie passioni e il mio potenziale: una combinazione di intuizione e empatia, la capacità di mettere in contatto le persone e i loro progetti e l’ambizione di voler comunicare messaggi autentici. Ho poi seguito un Master in Business Administration alla Bocconi, dove mi sono ritrovata con molti colleghi che, come me, cercavano una svolta nel percorso professionale. Ho iniziato ad aiutare alcuni di loro, prima qualche consiglio e poi piano piano in maniera più strutturata. La mia predisposizione naturale nel comprendere le persone e vedere i loro talenti mi ha portata a disegnare il mio lavoro: ho approfondito il concetto di purpose, ho studiato la filosofia, la psicologia e le teorie che trattano il tema. Ho raffinato alcuni strumenti che già esistevano e ne ho creati di nuovi. Oggi sono una consulente e founder di una start-up digitale che si chiama PurposeKey, a breve sul mercato! Credo che sia nella mia storia il motivo che mi ha spinta a iscrivermi al Senior Practitioner, perché in realtà non arriva da un bisogno professionale, ma dalla volontà di capire qualcosa di più su di me. In questo momento di cambiamento ed evoluzione da consulente a imprenditrice credo che il Coaching sia uno strumento utile a comprendere il mio potenziale e anche quello degli altri perché, da imprenditrice, è utile saper gestire le risorse e le persone. Inoltre, in passato ho fatto l’esperienza di essere una Coachee e mi ha aiutato molto sia nel periodo di transizione professionale che nella vita, quindi frequentando questo corso penso di riuscire a continuare il lavoro su di me. 

  • Nel quarto modulo avete approfondito il tema dell’auto/etero osservazione. Uno degli esercizi ha visto voi partecipanti coinvolti nel darvi a vicenda un feedback di rinforzo e uno di reindirizzamento. Che effetto ha fatto? Ti va di raccontarcelo?

Credo che l’auto/etero osservazione sia un’attività che andrebbe compiuta più spesso perché è interessante e utilissima. Per le persone è un momento molto toccante, sia quando dai un feedback che quando lo ricevi: è un momento in cui il ragionamento, la capacità e la consapevolezza delle persone si autoalimentano, viene incentivata una riflessione profonda. Da qui nasce un circolo virtuoso di stimoli. Questo esercizio mi ha stupita perché stupisce sempre che qualcuno veda un pezzetto di te che tu non pensi si veda. Nel nostro caso poi tra compagni di classe ci conosciamo poco, quindi si è sentito in aula un forte senso di responsabilità nel dare il feedback, ma allo stesso tempo forse proprio per questo è stato utile e ha avuto degli effetti di lunga durata. Il bello del feedback è che si dilata nel tempo: la riflessione non termina nel momento in cui lo pronunci o lo ricevi, ma la porti avanti, la contestualizzi anche in altri ambiti della tua vita. Io ho molta fiducia nel feedback e credo che andrebbe applicato molto di più di quanto non facciamo, e non solo sul lavoro, ma anche in situazioni più personali, come nelle relazioni di amicizia. 

  • Durante il weekend la vostra cassetta degli attrezzi da Coach si è arricchita di altri tre strumenti: la B.E.I. (Behavioral Event Interview), il role play e l’In-basket. Cosa sono e come li avete messi in pratica durante le esercitazioni?

Allora, la B.E.I., per farla breve, significa chiedere al Coachee di ripercorrere un episodio accaduto sul posto di lavoro; il role play invece lo fa rivivere perché in sostanza il Coachee ripropone se stesso con quello che ha fatto e detto mentre il Coach agisce come l’interlocutore dell’evento raccontato; l’in-basket invece è più complesso e ti permette di valutare il modo in cui metti in atto determinate competenze. Il processo che emerge da questi tre step è molto interessante perché fanno emergere insight diversi, ma tutti validi. È un percorso che si arricchisce passo dopo passo. Soprattutto per quanto riguarda la B.E.I. e il role play, ho trovato che, dal punto di vista del Coach, fossero due momenti di grande concentrazione e impegno: deve seguire il processo, dare degli stimoli e favorire l’immedesimazione, che porta a un momento quasi catartico. Pensare alle parole, ripercorrere ciò che si è detto è molto potente. In più, nella mia esperienza riguardo all’esercizio, l’ho trovato anche molto ingaggiante (potrei dire anche divertente) perché ho visto il lato pratico di un aspetto teorico. È incredibile quanto sia motivante. Stessa cosa anche per l’In-basket: entrare in un determinato modo di pensare, ripensare, ragionare, ricordare si integra con la sperimentazione e permette davvero di realizzare ciò che succedere sia a livello interiore che esteriore attraverso un’osservazione molto accurata di alcuni comportamenti a cui non arriveresti semplicemente descrivendoli. Il risultato è che ti rendi conto che per ogni situazione ci sono milioni di soluzioni. Poi certo, c’è qualcosa di più efficiente e qualcosa di meno, ma sono tantissime le sfaccettature da considerare. Ti dà l’idea dell’importanza di avere una visione d’insieme sulle cose.

  • Nella parte finale del modulo avete messo un piede in quello che sarà il tema del prossimo modulo, ovvero il sostegno allo sviluppo, mettendovi alla prova con la diagnosi condivisa. Che cosa questo momento ti ha permesso di scoprire riguardo alle tue competenze?

Ho scoperto che ci sono alcune competenze (nello specifico negoziazione e business acumen) su cui devo migliorare e questa necessità è emersa chiaramente. Fino a un po’ di tempo fa non avrei mai pensato che fossero quelle due quelle su cui avrei dovuto puntare perché proprio non pensavo di averne bisogno. Facendo gli esercizi, soprattutto l’In-basket, mi sono accorta che sono riuscita ad essere più incisiva usando proprio queste due e ci sono riuscita diventando più riflessiva, meno prolissa ma più diplomatica di come sono di solito. Ho quindi realizzato che se voglio fare quello che voglio fare devo lavorare su queste due competenze. Sono ancora a metà del percorso però, ho ancora tempo e modo per crescere.

  • Che aspettative hai riguardo al quinto modulo?

Principalmente mi aspetto di fare sempre più pratica e meno teoria, come già sta succedendo di modulo in modulo, e poi immagino di finire il prossimo weekend con ancora più attrezzi nella mia cassetta, e chissà quali saranno.

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