Il modello PR.O.V.A. e le 4 Nobili Verità – parte I

Redazione SCOA_Il modello PROVA

Il regalo più prezioso che possiamo fare a qualcuno è la nostra attenzione.

Esiste un filo rosso che lega la metodologia del Business Coach con i modelli del Dharma, di cui la mindfulness è parte, incentrato sulle 4 Nobili Verità.

In particolare, proponiamo una lettura del nostro modello PR.O. V.A., sviluppato da SCOA – The School of Coaching – come bussola per il Coach nel gestire la fase di sostegno al processo di sviluppo del Coachee, e le 4 verità Nobili, elemento cardine della psicologia buddista.

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Infatti, se caliamo le Nobili Verità in ambito Coaching e le confrontiamo col modello PR.O.V.A., troviamo un parallelismo interessante.

Il modello PR.O.V.A.

Andiamo con ordine. Il modello PR.O.V.A. è lo strumento principale utilizzato durante le sessioni di Coaching, apprezzato dai nostri Coach perché è una efficace guida nel sostegno allo sviluppo dei Coachee.

PR.O.V.A. è l’acronimo di PR: presente-problema; O: obiettivo; V: via-viaggio; A: Azione.

Si tratta di un processo di apprendimento circolare che ha inizio con l’identificazione di un problema nel presente del Coachee (PR.) per trasformarlo in un secondo passaggio in un obiettivo ben definito (O.).

La terza e la quarta fase (viaggio e azione) sono di consolidamento della volontà e capacità del Coachee di raggiungere l’obiettivo. In particolare, la terza fase del PR.O.V.A. sostiene il Coachee nell’individuazione di possibili vie per “trasferirsi” dal problema all’obiettivo. Quando la persona (Coachee) ha individuato la via e articolato un percorso (viaggio), si attiva l’ultima fase, ovvero il passaggio all’azione, cioè la messa in pratica pianificata della nuova strategia di comportamento volta a dare soluzione al problema.

Le 4 Nobili Verità

Passiamo a illustrare le 4 Nobili Verità, elemento cardine nella psicologia buddhista.

Le 4 Nobili Verità sono: 

  1. L’esistenza della sofferenza: riconoscere un problema/difficoltà;
  2. Le cause della sofferenza: comprendere e prendersi cura del problema in modo responsabile, senza scaricarlo sugli altri.
  3. La cessazione della sofferenza: darsi un obiettivo, nutrendo un sano desiderio di liberazione dalla difficoltà.
  4. Il sentiero che porta alla cessazione della sofferenza: percorrere la via verso l’obiettivo.

Il parallelismo tra modello PR.O.V.A. e le 4 Nobili Verità è un concetto che deriva da uno studio complesso e corposo che non può essere esaurito in un solo articolo. Per questo, in questa sede, presenteremo solamente le prime due delle Nobili Verità in relazione al primo step del modello PR.O.V.A., la fase del “presente – problema”, e solo successivamente tratteremo le ultime due (la cessazione della sofferenza e il sentiero che porta alla cessazione della sofferenza) con gli ultimi passi della nostra metodologia.

La Prima Nobile Verità e la prima fase del modello PR.O.V.A.

L’esistenza della sofferenza e la capacità di riconoscere un problema/difficoltà.

La prima Nobile Verità è riconducibile alla fase PR. del PR.O.V.A., cioè al problema vissuto nel momento presente.

In ogni cambiamento da affrontare, si parte da un gap tra dove siamo e dove vorremmo arrivare. Prima di ogni altro passo dobbiamo esplorare la natura di un problema che stiamo attraversando, o di un disagio vissuto, o ancora di un’area di lavoro che ci interessa mettere sotto la lente di ingrandimento perché ha a che fare con la nostra crescita.

La prima Nobile Verità, come il PR. del PR.O.V.A., pone come primo stato dello sviluppo umano la capacità di riconoscere ciò che rende insoddisfatti. Solo così maturiamo un sano desiderio di liberazione e crescita delle nostre potenzialità.

Il Dharma divide la prima Nobile Verità in tre punti:

  • La seconda freccia
  • La paura del cambiamento
  • L’ego 

Il primo punto può essere tradotto così: quando succede qualcosa che ci provoca disagio (una competenza che sentiamo il bisogno di migliorare, una collega che ci rivolge una parola sgarbata, un insuccesso vissuto, un dolore fisico, ecc.) ci mettiamo sopra i nostri giudizi che alimentano la sofferenza già generata dall’evento.

Nel mondo buddhista tutto ciò viene chiamato la seconda freccia. C’è una prima freccia che genera disagio in noi per qualcosa che accade e noi gonfiamo il disagio con pensieri distruttivi e ripetitivi, generando in noi ulteriore sofferenza con una seconda freccia, di cui potremmo farne a meno.

La fase del problema (PR. del PR.O.V.A.) è spesso determinata da tutte le seconde frecce che mettiamo, a volta inconsapevolmente, su un’area di crescita o un problema lavorativo.

Comprendere la seconda freccia è il primo passo per maturare il desiderio di lasciare andare l’abitudine alla critica. E’ un allenamento mentale importante che si può coltivare riconoscendo in ogni momento l’affiorare di pensieri inquinanti.

Il secondo punto della prima Nobile Verità riguarda la paura del cambiamento. Tendenzialmente vogliamo cambiare rimanendo uguali. Questo perché vogliamo difendere a ogni costo l’immagine che abbiamo di noi; tutte le volte che la nostra immagine e il nostro ruolo viene minacciato, ci sentiamo in pericolo.

Combattiamo la paura del cambiamento attraverso un controllo ossessivo della realtà, cercando in tutti i modi di prevedere tutto ciò che è possibile, nel tentativo di essere perfetti.

Per questo oggi siamo diventati schiavi delle agende e delle regole, per questa necessità di controllo e a causa del dubbio di non poterci permettere di avere fiducia che le cose possano accadere senza le nostre verifiche continue. 

Il terzo e ultimo punto della prima Nobile Verità ha a che fare con l’ego. Stiamo parlando della nostra tendenza a pensare che non dipendiamo da niente e nessuno, a non tenere in considerazione che la relazione con gli altri è la fonte del benessere e del successo di ogni persona.

L’ego è un “io gonfiato” che cerca costantemente il proprio vantaggio personale e vede gli altri in funzione dei propri scopi.

Il pensiero egoico si attacca al “ce la farò” (desiderio) o al “non ce la farò” (paura). Non ci diamo pace finché non soddisfiamo il desiderio o evitiamo ciò che ci preoccupa, attribuendo all’esterno la causa della nostra felicità. Nell’ego tendiamo a identificarci con i nostri pensieri, emozioni, etichette, convinzioni, immagini, al punto da rimanere inconsapevolmente sequestrati da essi.

La fase del problema è paragonabile alla prima Nobile Verità. Un sostegno allo sviluppo di una mente elastica, che si mette in dubbio e osserva l’impatto del proprio modo di agire, è un grande salto verso la crescita.

Seconda Nobile Verità e la prima fase del modello PR.O.V.A.
Le cause della sofferenza e la comprensione del problema.

La seconda Nobile Verità è un ulteriore approfondimento della fase del problema (PR.) del PR.O.V.A..

Nel Coaching, durante l’esplorazione del problema, ciò che emerge è il comportamento non funzionale messo in atto che fa pagare più costi che vantaggi.

La sapienza filosofica orientale buddhista ci insegna che i nostri comportamenti distruttivi, in quanto non buoni per noi e per gli altri, hanno delle cause ben precise e solo intervenendo su di esse possiamo operare un vero e trasformativo cambiamento in noi.

Nel Coaching, a mio parere, esplorare il problema solo da un punto di vista comportamentale (l’impatto delle nostre azioni sugli altri) non incide in modo sostanziale sul cambiamento.

Occorre riconoscere cosa sta dietro a un modo di agire, quali parti di noi entrano in gioco, quali convinzioni ed emozioni guidano la nostra realtà lavorativa quotidiana.

Senza pretendere di diventare psicologi: il Coach non tratta le cause del problema e tanto meno i disagi emotivi, tuttavia è compito del Coach essere un facilitatore di consapevolezza oltre che allenatore di comportamenti.

La seconda Nobile Verità fornisce una guida utile per riconoscere i motivi dei nostri comportamenti e atteggiamenti che ci fanno pagare dei costi più alti dei benefici, di solito a lungo termine. Li descrivo qui di seguito perché sono passaggi utili che il Coach può esplorare con il Coachee nella fase del problema.

L’Attaccamento

In sintesi, l’attaccamento si esprime quando:

  1. Attribuiamo una qualità esagerata a ciò che possediamo.
  2. Desideriamo troppo quello che non abbiamo.
  3. Balziamo da un desiderio all’altro senza darci pace.

Il Buddha ha paragonato l’attaccamento al tentativo di dissetarsi bevendo l’acqua salata del mare. Malauguratamente, più ne beviamo, più sete abbiamo. 

Sul lavoro, l’attaccamento si esprime nel nell’esagerato desiderio di trattenere qualcosa che si ha (status, mansioni, potere, ecc.) o volere qualcosa che non si possiede (invidia per ciò che gli altri ottengono al posto mio, spinta eccessiva a ottenere riconoscimento, successo, ecc.). Diventa una lotta affinché le cose non cambino o diventino ciò che si desiderano a ogni costo.

Lo psicologo Paul Ekman sostiene che l’attaccamento sia una sorta di esagerata possessività, un eccesso di controllo che inibisce il benessere per una deformazione della realtà.

Bisogna distinguere tra desiderio e attaccamento. Il desiderio è assolutamente indispensabile. Ma quando il desiderio diventa irragionevole, irrealistico, diventa attaccamento.

L’ Avversione

In sintesi, l’avversione si esprime quando:

  1. Ciò che ci rende fragili agli occhi miei e degli altri è una minaccia.
  2. Siamo in allerta a identificare ogni potenziale pericolo che minaccia ciò che abbiamo o vogliamo ottenere, con dispiego notevole della nostra energia.
  3. Tendiamo a dare la colpa della nostra sofferenza agli altri.
  4. Allontaniamo con forza tutto ciò che non ci piace.
  5. Sul lavoro l’avversione si manifesta nel tentativo di difendere se stessi da tutto ciò che è una minaccia. Quando siamo nella avversione, il dito viene puntato con forza verso l’altro e assumiamo un comportamento aggressivo che tende ad abbatterlo, a sconfiggerlo.

Il bisogno di avere ragione è una modalità che spesso trova la sua origine nella avversione, cioè nella paura che mollando la propria convinzione venga compromessa dagli altri la propria identità, reputazione, immagine, ruolo.

I conflitti sono spesso all’origine di un’avversione immotivata. Basterebbe chiedersi, “vogliamo il bene comune o il bisogno di avere ragione?”. “Qual è la paura che sentiamo se molliamo la nostra posizione?”

Diversa dall’avversione è la determinazione. Possiamo essere decisi e diretti nell’affrontare una situazione, facendo emergere anche un conflitto, senza maturare l’intenzione di danneggiare l’altro, di cercare il nostro beneficio a scapito dell’altro.

Per concludere, la Prima e Seconda Nobile Verità sono un utile supporto ai Coach per affrontare la fase del Presente-Problema (PR del PR.O.V.A.) con il proprio Coachee, con una chiave di lettura semplice e profonda allo stesso tempo.

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