Che cosa vuol dire diventare un Business Coach? 7 domande al Senior Business Coach e Docente Carlo Boidi

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Carlo Boidi è Senior Business Coach e Docente SCOA – The School of Coaching. Ha lavorato come ricercatore e come manager prima di approdare al mondo del Business Coaching. É stato presidente di EMCC – European Mentoring & Coaching Council – Italia e ha ricoperto il ruolo di Accreditation Project Manager in EMCC International. 

Ci parlerà di cosa consiste il lavoro del Business Coach, quello che fa e perché è una figura professionale fondamentale per le organizzazioni oggi. Si può diventare Business Coach senza aver seguito un corso qualificato? Qual è il valore aggiunto che un corso di Business Coaching offre? Il Business Coach è un professionista che innova, che crea e porta valore sia alle persone che alle organizzazioni. Ma quali scenari attendono il mondo del Coaching? Che cosa ci si deve aspettare, riferendosi anche alla digitalizzazione della professione?

1. Carlo, mi racconti il mestiere del Business Coach?

Fare il Business Coach significa affiancare diverse figure professionali nel raggiungimento di obiettivi per loro sfidanti e importanti: sia obiettivi di risultato (concludere un progetto in certi tempi ad esempio) sia obiettivi di apprendimento di comportamenti e competenze manageriali che agevolano il raggiungimento degli obiettivi. Quindi, alla fine di un percorso di Coaching, le persone hanno un doppio beneficio: oltre a quello evidente di una migliore performance c’è anche quello meno tangibile ma di enorme valore, relativo alla crescita del proprio potenziale.
Le figure professionali coinvolte possono essere liberi professionisti, imprenditori, manager ma anche team. In questo caso parliamo di Team Coaching, gruppi per il Group Coaching e organizzazioni per l’Organisational Coaching.

Per quanto riguarda le macro-attività principali del Business Coaching individuiamo:

  • una prima fase che consiste nella preparazione del percorso – detta anche “contracting”-  in cui si definiscono gli obiettivi e le linee guida che caratterizzeranno il percorso di Coaching. Se il percorso viene sponsorizzato da un’organizzazione, in questa fase partecipano anche alcuni stakeholder (il capo, un responsabile delle risorse umane, ad es.) coinvolti nello sviluppo della figura – quello che chiamiamo Coachee – o del Team che affronterà il percorso.
  • segue una fase di sviluppo, in cui avvengono le conversazioni di Coaching orientate allo sviluppo delle risorse e competenze. La capacità del Coach è quella di farle emergere e agevolarne lo sviluppo in maniera maieutica all’interno di una relazione orientata alla riflessione, alla sperimentazione e allo sviluppo di comportamenti nuovi per il Coachee. 
  • infine c’è una fase in cui si consolidano questi comportamenti e questi apprendimenti: i comportamenti messi in pratica inizialmente in maniera sperimentale, vengono affinati e, piano piano, si trasformano in comportamenti abituali. Da quel momento il Coachee o il Team hanno ampliato il proprio potenziale: in futuro potranno mettere in campo gli schemi comportamentali che hanno sempre utilizzato oppure quelli appresi, a seconda delle situazioni. 

Si acquisisce così un maggior spettro comportamentale e maggiori margini di autonomia nella scelta dei comportamenti più funzionali agli obiettivi che di volta in volta si vorrà ottenere.

2. Prima di diventare Coach, di cosa ti occupavi? Come il tuo passato lavorativo e il tuo expertise influenzano la tua pratica e la tua professione di Business Coach?

Quella del Coaching è la mia terza fase professionale: in una prima fase sono stato un ricercatore nell’ambito delle tecnologie per le telecomunicazioni. Mi occupavo di dispositivi optoelettronici, sistemi in fibra ottica, ecc. In una seconda fase sono cresciuto a livello manageriale in diverse multinazionali, sempre nell’ambito dell’innovazione ed è in questa fase della mia carriera che ho sentito la necessità di acquisire competenze relazionali che mi permettessero di gestire dinamiche organizzative sempre più complesse. Le competenze di Coaching, così utili ai manager e ai leader, sono diventate il mio interesse principale e, in questa mia terza fase professionale, sono diventate oggetto del mio lavoro. 

Il fil rouge di queste tre fasi è l’innovazione: anche il Coaching ha a che fare col creare qualcosa di nuovo, mettere in campo comportamenti e competenze nuove per gli individui e per le organizzazioni che il Coach affianca. Il Coach può contribuire e affiancare i Coachee proprio nello sfidare lo status quo.  

Per me innovazione significa anche sviluppare la professione del Coaching adottando e diffondendo nuove metodologie. Il Coaching è una pratica in rapida evoluzione e professionalizzazione e c’è molto lavoro da fare in questo senso.

3. Come si diventa Business Coach e perché per diventarlo bisogna studiare e frequentare un corso? Qual è il valore aggiunto che un corso di Coaching qualificato può dare rispetto a un percorso da autodidatta?

Si diventa Business Coach imparando opportune tecniche e metodologie, a gestire se stessi e la relazione con i clienti e con i Coachee. Occorre poi mettere in pratica tutto questo con i clienti e stare in un processo continuo di pratica riflessiva per riuscire a migliorarsi continuamente. Occorre anche confrontarsi su queste riflessioni con professionisti specializzati che si chiamano Supervisor. Durante il processo di qualifica dei Coach ci si confronta appunto su tutti questi aspetti: le conoscenze, l’esperienza, la pratica riflessiva, la formazione continua e la supervisione. 

Le qualificazioni internazionali garantiscono che i corsi abbiano tutte queste caratteristiche e che quindi indirizzino i Coach a professionalizzarsi sempre di più. Dopo il corso è necessario continuare ad esercitare tutte queste pratiche se si desidera essere Coach eccellenti. 

Cos’è la Supervisione? Perché è importante per il Coach? Lo abbiamo chiesto all’Executive Business Coach e docente SCOA Alberto Camuri: leggi il suo articolo sulla Supervisione.

4. Cosa succede durante la giornata dei Basilari dell’Effective Business Coaching?

Durante questo breve workshop andiamo ad esplorare i concetti di base del Coaching, le differenze tra Coaching e Mentoring, le competenze principali di un Business Coach. Vediamo quindi come si sviluppa un percorso di Coaching e cosa succede durante una sessione di Coaching, assistendo ad una breve sessione di esplorazione svolta da uno dei nostri Business Coach. In seguito anche i partecipanti si cimentano a coppie in una sessione simile a quella alla quale hanno assistito. In questa esercitazione interpretano sia la parte del Coach che quella del Coachee.

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5. Che prospettive attendono i futuri Coach, e considerando il tuo ruolo passato come presidente EMCC Italia e attuale ruolo come membro del consiglio come vedi lo sviluppo del settore?

Il Coaching e il Mentoring sono in rapida crescita in tutto il mondo. Alla crescente richiesta di questi servizi non sempre corrisponde però un’offerta di qualità: non c’è una barriera all’ingresso, chiunque può definirsi Coach senza sapere bene cosa sia il Coaching. C’è poi qualcuno che inizia a definirsi Mentor per sembrare una figura professionale ancora più importante ed esperta.
Occorre quindi essere preparati e qualificati e saper dimostrare la propria maturità professionale anche quando le aziende non hanno tanti strumenti, e talvolta neanche tante competenze, per valutare la preparazione di un Coach. Per quanto riguarda le prospettive future, io ho una visione particolare che è frutto anche dell’esperienza nel Council Internazionale di EMCC, svolta quando sono stato presidente della sezione italiana. Penso che in futuro ci sarà una convergenza del Coaching e del Mentoring professionale. I professionisti più richiesti sapranno integrare queste pratiche e magari le fonderanno anche ad altre discipline. Già oggi molti dei nostri clienti preferiscono lavorare con Business Coach che abbiano avuto un ruolo manageriale in organizzazioni simili alle loro. Probabilmente questo avviene per due motivi:

  1. Spesso non è chiaro cosa faccia il Coach e come sceglierlo, quindi un’esperienza manageriale alle spalle aumenta la fiducia sulla preparazione del professionista. Questa è solo in parte una convinzione dei clienti e c’è in realtà un fondo di verità: diverse ricerche hanno dimostrato che la conoscenza del contesto aumenta l’efficacia dei Coach nel coinvolgere il cliente o Coachee in riflessioni più profonde e nella generazione di insight.
  2. Richiedendo Coach con un’esperienza manageriale simile a quella del cliente c’è – forse inconsapevolmente – la ricerca di una figura di Mentor: qualcuno che ti sappia ispirare alla luce della propria esperienza, del proprio background pur rimanendo nell’ambito di una conversazione maieutica. Qualcuno che sappia stare in una conversazione di Coaching e che sappia capire quando è il momento di proporre un’informazione o il racconto di un’esperienza personale che permetta al cliente di andare ancora più in profondità nella propria riflessione. Qualcuno che sappia anche muoversi nel territorio dei valori, delle convinzioni, dell’identità e della vision (un po’ come i livelli generativi ed evolutivi del Coaching con la “C” maiuscola di Robert Dilts)

Attenzione: quando parlo di aggiungere una propria storia o delle informazioni, non sto alludendo alla consulenza o al dare consigli. Un conto è mettere sul tavolo un’informazione che il cliente può inserire nella propria riflessione come lui ritiene e se ritiene, un conto è suggerire o dire al cliente cosa fare. L’integrazione del Coaching e del Mentoring nell’ambito del Business può davvero creare professionisti in grado di avere un impatto altissimo nelle organizzazioni in cui lavorano.
Ritengo che EMCC, avendo sviluppato un framework comune sia per il Coaching che per il Mentoring, essendo caratterizzata da una forte inclusività e lavorando molto sulla ricerca e sull’evoluzione della professione, offra una qualificazione privilegiata rispetto alle altre associazioni. Molte associazioni stanno inserendo solo ora la pratica della Supervisione e la pratica riflessiva, cosa che EMCC prevede da moltissimi anni.

Leggi l’articolo di Roberto Degli Esposti La finestra sul giardino: una vista sul decennio che verrà per conoscere meglio le prospettive che attendono il Business Coaching.

6. Il Business Coaching è sia una professione che si prefigge di dare sostegno esterno all’azienda, sia una pratica esercitata dai manager nella loro stessa azienda. Qual è la principale differenza tra le due, e che benefici ha il manager a diffondere la cultura del Coaching nella sua azienda e tra i suoi colleghi?

La leadership è un delicato equilibrio fra l’orientamento alla performance e l’orientamento alle persone e al loro sviluppo. Anche il Coaching ha questo duplice orientamento, quindi è un ottimo strumento per accrescere la propria leadership come manager. Avere questa competenza interna diffusa fra i propri manager è un valore enorme per l’organizzazione: significa che questa è in grado di provvedere al proprio sviluppo in maniera autonoma. Vuol dire che diventa capace di raggiungere performance sempre più importanti.

C’è ovviamente una differenza fra il Coach che lavora come professionista esterno o interno all’organizzazione e un manager che utilizza competenze di Coaching.

Nel primo caso si instaura una relazione di Coaching formale con un accordo specifico in termini di numero di sessioni, durata e obiettivi di risultato e di apprendimento.

Nel secondo caso invece si instaura una relazione di Coaching informale. Il manager non organizza sessioni specifiche di Coaching con i propri collaboratori: utilizza piuttosto gli strumenti e gli approcci del Coaching ogni volta che questo si rende necessario. In questo caso il Coaching diventa uno stile di leadership: lo stile che, secondo Daniel Goleman, ha impatto maggiormente positivo, insieme allo stile visionario, rispetto a tutti gli stili di leadership. 

Chi lo sa mettere in campo crea una forte risonanza emotiva stabilendo un collegamento tra le aspirazioni del singolo e gli obiettivi dell’organizzazione; coinvolge i collaboratori nel miglioramento delle proprie prestazioni, sviluppando il proprio potenziale e costruendo competenze durature nel tempo.

Acquisire questo stile è impegnativo tanto quanto diventare un Coach professionista. Occorre lavorare molto su di sé per integrare questo modo d’essere. Ho visto manager che hanno appreso queste competenze e le hanno utilizzate con successo ma, quando si sono trovati ad affrontare fasi stressanti, sono tornati ai loro comportamenti abituali, tornando ad essere direttivi e autoritari con un impatto pessimo sui loro collaboratori.

7. Come vedi l’utilizzo del Coaching in videoconferenza? Se ne fa molto uso in questi giorni, vista l’emergenza Coronavirus.

La videoconferenza è uno strumento con cui mi sento a mio agio, avendola utilizzata anche molti anni come manager nella gestione di funzioni distribuite in diverse nazioni del mondo. Quindi fare Coaching in videoconferenza per me è naturale e ho sempre utilizzato questa modalità indifferentemente rispetto al Coaching “offline”. Ci sono una serie di accortezze tecniche per rendere l’esperienza naturale ed efficace. Lo stesso Prof. David Clutterbuck mi ha raccontato di diverse ricerche che hanno fatto emergere l’indipendenza del mezzo di comunicazione (presenza, telefono, videoconferenza) sull’efficacia dei percorsi di Coaching. 

La nostra capacità di essere presenti nella relazione di Coaching non dipende dal mezzo con il quale stiamo comunicando. 

Ci sono Coach che non si sentono a loro agio con questi strumenti ma questo è più un ostacolo interno al Coach che un ostacolo per il Coaching in generale.

Altri Coach sono abituati ad utilizzare tools che richiedono la presenza fisica come il Management Constellation e strumenti visuali. Non è detto che questi non trovino altre modalità digitali per ottenere lo stesso livello di esperienza. SCOA – The School of Coaching sta facendo la sua parte per implementare la sua offerta online per assistere i Business Coach ad interpretare il proprio ruolo anche, e a volte ancor meglio, con strumenti digitali. 

Per quanto riguarda i clienti, nella maggior parte dei casi, vedo una buona apertura all’utilizzo degli strumenti digitali nel Coaching. Oltre ad essere efficace come modalità, a loro permette anche di essere più efficienti, riuscendo ad organizzare meglio le sessioni all’interno delle loro complesse agende. 

In questi giorni scherzavo con i miei colleghi sul fatto che all’interno dello smart working c’è anche lo Smart Coaching!

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