Essere una risorsa per il team con il Senior Practitioner – Intervista a Marco Mordente

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L’ex capitano della nazionale di basket, Marco Mordente, ed ex alunno di SCOA – The School of Coaching, ci ha raccontato che cosa lo ha spinto ad iscriversi al Senior Practitioner e ad intraprendere questo percorso, scegliendo di far diventare il Business Coaching la sua nuova professione. 

Qual è stato il primo incontro con il Business Coaching?

Quando ho smesso di giocare, ho avuto l’occasione di frequentare un corso di formazione, una parte del quale era dedicata ad un breve percorso di Coaching. In quell’occasione, per la prima volta, ho potuto sperimentare in veste di Coachee la disciplina, e ne sono rimasto affascinato.

Al termine di questa esperienza inoltre sono entrato in contatto con una figura che stava finendo il Senior Practitioner in SCOA, e che mi ha proposto di diventare un suo Coachee. In quel momento di grande cambiamento per me, visto che avevo smesso di giocare da poco e stavo compiendo un passaggio di carriera come Coach, mi hanno colpito il suo sforzo e la sua capacità di adattare la metodologia del Business Coaching ad una persona come me che non apparteneva al mondo aziendale.

L’apprendimento e i benefici concreti che ho ricavato da queste due esperienze sono stati per me una dimostrazione tangibile dell’estrema efficacia del Coaching.

Qual è l’aspetto che più ti ha affascinato di questa disciplina?

L’azione. Senza dubbio la consapevolezza di sé e la responsabilità di ciò che si fa, sono elementi molto importanti, ma ciò che poi fa la differenza sono la pratica e l’allenamento. Nel mio percorso da atleta ho avuto numerosi momenti di difficoltà, in cui mi sono fermato alla fase di analisi della situazione, cercando di acquisire consapevolezza sul problema o sull’errore. Molte volte, però, quello che mancava era poi lo step successivo, il coraggio di agire. In questo senso, avere una persona – il Coach – di cui ti fidi e che ha fiducia in te e nel tuo potenziale, che ti supporta nel passaggio alla prassi, fa la differenza. Provare e riprovare è la chiave per il miglioramento: questa è la parte che mi ha maggiormente catturato del Business Coaching, che mi ha diverse volte fatto dire “peccato non averlo scoperto e sperimentato prima!”

L’ambito dello sport e quello del business sono però, almeno per certi versi, molto distanti: quali sono i punti di contatto?

Se mettiamo da parte la maschera dei ruoli e dei processi, che sono effettivamente diversi, e rimaniamo invece sulla componente umana, possiamo scoprire che questi due mondi, all’apparenza così lontani, hanno molti aspetti comuni.

Temi come la motivazione, le performance, i risultati, le dinamiche del team, la relazione con il capo sono centrali nel mondo aziendale così come in quello sportivo. In entrambi i contesti, l’obiettivo è quello di migliorarsi costantemente e ottimizzare le prestazioni, a livello sia individuale che collettivo. Per questo sono fondamentali il senso di appartenenza al gruppo e la condivisione autentica di valori e obiettivi: per “indossare la maglia”, della propria squadra o della propria azienda, è necessario sentirsela addosso. Coltivare rapporti costruttivi fa la differenza sul benessere e sul rendimento del team, sia nello sport che nel lavoro.

In questo senso il Business Coaching mi ha permesso di portare il mio contributo in un ambito diverso da quello da cui provengo, dando continuità e valore alla mia esperienza precedente.

Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto ad iscriverti al Senior Practitioner? Cosa ti ha portato a volerne fare la tua professione?

Come dico sempre, il mio talento tecnico e fisico erano assolutamente nella norma. Nella mia carriera sportiva ho così dovuto puntare su altri talenti: la voglia di sfidarmi e misurarmi con nuovi obiettivi, la consapevolezza del valore del cambiamento come mezzo necessario per migliorarsi, la ricerca di motivazioni, la voglia di contribuire al benessere della squadra ed essere funzionale a questa. Ho sempre creduto nel valore del team e nell’appagamento che provoca il raggiungimento di un obiettivo comune: per questo motivo, per me è sempre stato centrale riuscire ad essere una risorsa per il team. Così, ho lavorato molto sul portare ai miei compagni un contributo non visibile: non tanto punti e assist, ma piuttosto  l’allenamento come priorità per cambiare concretamente,  l’osservazione e l’ascolto, la comprensione dei bisogni dell’altro e il sostegno del suo sviluppo, la mia leadership per essere un esempio e una guida per gli altri.

Quando ho smesso di giocare volevo dar valore a queste mie capacità e questo mio modo di essere e continuare a metterli a disposizione di altri. Così, nell’ottobre del 2018,  ho scelto di iscrivermi al Senior Practitioner: volevo essere una risorsa per altri team, e in questo senso ho visto nel Business Coaching un’opportunità complementare alla mia già avviata professione di inspirational speaker.

Che cos’ha significato per te questo percorso?

Il Senior Practitioner mi ha permesso non solo di non perdere questa parte di me, ma di valorizzarla: mi ha dato la possibilità di riconnettermi con me stesso, a livello sia personale che professionale, riscoprendo potenzialità e lati di me. È stata per me un’esperienza “tosta”, per certi versi difficoltosa e complessa, ma che mi ha permesso di mettermi in gioco, fare un lavoro sulla mia persona e comprendere le mie leve vincenti, tramite cui esprimere il mio potenziale.

Ho preso il percorso molto seriamente: è stata una scelta davvero sentita e autentica, mossa dalla volontà di conoscere e approfondire una metodologia che volevo diventasse la mia professione.

Qual è un modulo che hai trovato particolarmente significativo?

I due moduli di approfondimento del modello PR.O.V.A.: si tratta del modello di Coaching sviluppato e proposto da SCOA, pensato come una bussola per il Coach nel gestire la fase di sostegno al processo di sviluppo e di cambiamento del Coachee.

In questo approccio ho trovato molte affinità con il mio modo di vivere lo sport. In particolare la seconda fase denominata “Dall’orizzonte all’Obiettivo”, in cui il Coach accompagna il Coachee nel proiettarsi in un momento futuro, mi ha ricordato l’esperienza sportiva: la tecnica della visualizzazione è di uso quotidiano per affrontare in maniera più efficace “la partita”. Così, allenare la mente ad immaginare situazioni future, analizzando quali potranno essere le difficoltà e individuare quali energie e risorse serviranno, consente di attuare strategie ottimizzate.

Questi due moduli mi hanno così permesso sia di riscoprire e potenziare le mie capacità, sia di comprendere i miei punti di forza e di debolezza e capire così ciò che potevo offrire al mio pubblico. Anche per questo, ho scelto poi di prendere la Qualificazione EMCC.

In che cosa ha fatto la differenza ottenere questa qualificazione?

Per me era importante dimostrare ai clienti, anche attraverso una valutazione esterna e oggettiva delle competenze, la mia professionalità. Il Senior Practitioner ti consente di acquisire strumenti efficaci e competenze solide, ma il fatto che questi vengano poi certificati attraverso un riconoscimento ufficiale fa la differenza sull’immagine che offri, contribuendo a comunicarti come un esperto del settore. È anche un modo per mantenerti sempre informato su nuovi modelli, ricerche e poter allenare le tue competenze con altri Coach. Anche perché è effettivamente richiesta dal pubblico: ti conferisce affidabilità e serietà come professionista.

Qual è stato il cambiamento più significativo ottenuto grazie al Senior Practitioner?

Mi ha permesso di cambiare la mia prospettiva verso le cose, da “mi manca questo, vado a prenderlo” a “ho questo: come lo utilizzo? come lo valorizzo?”. Ha quindi cambiato il mio approccio, aumentando la fiducia nel mio potenziale e accrescendo la mia consapevolezza su come esprimerlo al meglio, concretamente.

Qual è la tua professione oggi?

Il Business Coaching, con un particolare focus sui team. Il basket mi ha permesso di conoscerne dinamiche e ruoli. Questa esperienza cerco di trasmetterla agli altri in modo che possano trovare, quotidianamente, la loro modalità di miglioramento ed essere pro-attivi verso il cambiamento.

Per chi, secondo te, questo percorso può rappresentare un’opportunità? Per chi può costituire una risposta?

Direi principalmente chi ha voglia di mettersi in gioco, per dare un valore aggiunto alla propria organizzazione, portando uno strumento potentissimo di grande supporto alle altre persone. Ci deve però essere una motivazione forte alla base: il Coaching richiede infatti di operare un costante lavoro su di sé, perché ogni persona con cui ti relazioni tocca e fa emergere lati e aspetti diversi di te che devi saper gestire.

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