Quali sono gli effetti e i benefici sulla consapevolezza Manageriale e sulla gestione e sviluppo dei collaboratori quando si adotta in azienda un approccio che deriva dal Coaching? In che modo la partecipazione al Senior Practitioner in Business Coaching aiuta a sviluppare queste competenze?
Lo abbiamo chiesto ad Alberto Camuri, Executive Business Coach, e Gianvalerio Martinuzzi, General Manager nel settore Life Science che ha seguito il corso Senior Practitioner in Business Coaching lo scorso anno.
Raccontateci chi siete e in che modo il Business Coaching si inserisce nel vostro percorso professionale.
Gianvalerio Martinuzzi: Lavoro da oltre 25 anni come manager in aziende multinazionali del mondo Life Science: diversi anni fa ho avuto l’opportunità di fare un percorso di formazione sull’uso del Coaching come uno dei possibili strumenti di leadership da adottare e, da allora, ho coltivato l’interesse per il Business Coaching toccando con mano quanto possa essere una leva per influenzare l’adozione di comportamenti virtuosi che creano valore per tutti. Il corso Senior Practitioner in Business Coaching di SCOA mi ha aiutato a rafforzare queste competenze e a portarle nella mia azienda.
Alberto Camuri: Ho 72 anni ed ho passato una parte molto significativa della mia vita professionale in posizioni di Senior Executive per multinazionali americane (NCR – AT&T) sia a livello nazionale sia internazionale. In particolare, ho gestito una parte del mondo di NCR in qualità di Vice President, della Business Unit Retail per il mercato Europe Middle East Africa – South Asia Pacific . La mia esperienza manageriale è stata ricca di soddisfazioni e mi ha fatto comprendere l’importanza di adottare un approccio manageriale con sensibilità Coaching, orientato alla crescita e sviluppo delle persone, e a comprendere che la vera differenza, il vero vantaggio competitivo, sono proprio le persone ed il loro livello di engagement. Ad un certo punto della mia esperienza (sono un fautore della pianificazione delle stagioni della vita) ho deciso di intraprendere una nuovo percorso professionale, approfondendo temi che mi hanno sempre affascinato e coinvolto: così nel 1990 sono diventato Certified Business Coach™ (CBC™) e successivamente Certified Master Business Coach™ (CMBC™) della WABC Worldwide Association of Business Coaches. Sono anche membro EMCC (European Mentoring & Coaching Council). Accompagno e sostengo Senior Executives, Management Teams, sia nel settore profit sia nel non profit, in percorsi di sviluppo professionale e manageriale. Collaboro con Centri Studi e Università nell’ambito delle Competenze Manageriali e sono membro della Faculty della School of Coaching SCOA.
Nella vostra esperienza, in che modo seguire un percorso formativo sul Business Coaching può avere un impatto sulla consapevolezza manageriale?
GM: Con il Business Coaching si lavora molto sulla consapevolezza di se stessi, che diventa il presupposto indispensabile per una buona consapevolezza manageriale: proprio in questo ambito il percorso Senior Practitioner in Business Coaching è stato la fonte da cui ho tratto i maggiori progressi personali, grazie agli stimoli e agli spunti di riflessione emersi dai lavori di simulazione in aula e alla conseguente pratica riflessiva. Come General Manager sono sotto l’osservazione costante di tutti, i miei comportamenti influenzano direttamente il clima aziendale. Per me è diventato importante essere consapevole di tutto quello che trasmetto anche nei momenti informali, perché è fondamentale riuscire ad essere un esempio continuo e autorevole nell’organizzazione.
AC: Certamente la partecipazione al Senior Practitioner in Business Coaching di SCOA è fondamentale per coloro che intendono sviluppare la loro professione verso la pratica di Business Coach, ma lo è anche per coloro che vedono in questo percorso un’opportunità di crescita personale e professionale, in particolare per i partecipanti che ricoprono ruoli manageriali. Durante il percorso viene attenzionata e sviluppata la tematica della consapevolezza, la consapevolezza di sé, del proprio ruolo e del contesto. Nel mondo dinamico e poco prevedibile in cui viviamo, in cui spesso si finisce nel gorgo del fare, nel ripetere sempre se stessi, nel non farsi domande di senso, riuscire a educarsi ed educare alla consapevolezza di se stessi, del ruolo, del contesto, della situazione non è per nulla banale. È prerequisito per un sano e concreto percorso di sviluppo che si può intraprendere grazie ad una conseguente assunzione di responsabilità consapevole. Un manager consapevole e attento stimola anche nelle proprie risorse consapevolezza e conseguente assunzione di responsabilità per la propria crescita e sviluppo.
Parliamo di ascolto e osservazione. Quanto queste capacità vengono stimolate dal percorso sul Business Coaching e quali sono gli effetti che derivano dal loro sviluppo nell’agire manageriale?
GM: L’ascolto di sé, inteso come il riconoscimento delle proprie emozioni, e l’osservazione delle proprie reazioni (cosa si è pensato, cosa si è detto, cosa si è fatto) di fronte alle diverse situazioni aziendali vengono continuamente allenati durante il Business Coaching, proprio come gli atleti allenano i muscoli in palestra. È una questione di esercizio, di vera e propria pratica attiva che richiede attenzione e capacità di riflessione, che nel tempo diventa uno strumento importante nell’agire manageriale: fornisce una maggiore predisposizione all’ascolto attivo dell’interlocutore e amplifica la sensibilità rispetto alle sue emozioni e alle sue motivazioni.
AC: Ascolto e osservazione sono capacità chiave per il Business Coach e fondamentali per un Manager responsabile. Sono competenze comportamentali che vanno acquisite, allenate, manutenute. Spesso sono date per scontate, ma ascoltare è diverso da sentire, osservare è diverso da guardare. Durante il percorso in Business Coaching queste capacità sono costantemente attenzionate, si comprendono le ricadute di un ascolto attivo/empatico, della disponibilità, dell’interesse verso l’altro, del voler comprendere e accogliere astenendosi dal valutare, dell’esserci veramente e interamente nel momento di ascolto, con un’osservazione del “verbale e non verbale”. Siamo in una società in cui ci si è disabituati all’ascolto vero, si sente, si dice di ascoltare mentre si fa altro, si è disattenti mentre si è coinvolti nel fare, fare, fare. Nel percorso formativo si riflette e si lavora molto anche sull’ascolto di sé. Un manager che attenziona e potenzia la sua capacità di ascolto e osservazione è un manager capace di aiutare a guardare e ascoltare per contestualizzare e dare risposte alle domande di senso. E tutto ciò ha evidenti ricadute sull’engagement di coloro con cui collabora.
In questo periodo si sente parlare molto di miglioramento continuo: in che modo l’approccio del Business Coaching può aiutare a realizzarlo e quali sono gli effetti che questo può avere nella gestione delle risorse?
GM: Ho esperienze pluriennali in diverse realtà aziendali in cui si coltiva la cultura del Kaizen, del miglioramento continuo, ma che viene focalizzata prevalentemente sui processi, sui prodotti oppure sui servizi forniti, tralasciando spesso l’ambito dei comportamenti e delle relazioni. Il Business Coach, al contrario, si concentra proprio su queste dimensioni, e lavora per obiettivi specifici e misurabili, allenando le competenze comportamentali individuate e misurando i progressi incrementali concretamente raggiunti nella pratica professionale. Attraverso il percorso di formazione in Business Coaching si impara quindi a porre l’attenzione più sull’intangibile che sul tangibile, su aspetti che molto spesso vengono trascurati, ma che invece sono molto più profondi.
AC: Il percorso in Business Coaching può aiutare a realizzare il miglioramento continuo innanzitutto perché genera comprensione e consapevolezza. Ormai è ampiamente richiesto dal mondo in cui viviamo, quindi “miglioramento continuo” non è e non deve essere uno slogan ma una realtà. Dobbiamo essere consapevoli che, dovendoci confrontare con un contesto in costante evoluzione, non si può più pensare di vivere di rendite, di successi passati, ma ogni giorno deve essere conquistato. Questo significa che il proprio futuro deve essere costantemente programmato e riprogrammato, lavorando sulle competenze comportamentali: è un impegno che richiede il coinvolgimento (testa, cuore, mani) di tutti. Bisogna però anche accettare che la consapevolezza, per quanto sia fondamentale, da sola non basta: si deve poi passare al mettere in atto un’assunzione di responsabilità personale, decidere cosa si vuole. Quindi sono necessari concretezza e piani di azione, altrimenti si rimane nello spazio dei buoni propositi. Metodo e rigore sono altrettanto necessari: tutto questo lo sintetizziamo nell’acronimo CRA (Consapevolezza-Responsabilità-Azione).
L’importanza del feedback è ormai riconosciuta, ma dare un feedback ben strutturato è tutt’altro che facile. In che modo la formazione al Business Coaching può aiutare nell’utilizzo corretto di questo strumento e nella promozione del cambiamento?
GM: Di norma il feedback in azienda non si dà, oppure viene utilizzato come una valutazione critica, spesso negativa, rispetto al lavoro svolto dal collega o dal collaboratore. A seguito del percorso in Business Coaching, sto cercando di costruire una cultura aziendale orientata al feedback strutturato e privo di giudizi: in base alla mia esperienza, posso testimoniare che si riesce facilmente ad arrivare ad un buon livello di “struttura” del feedback, ovvero ad ottenere conversazioni tempestive, basate su osservazioni oggettive e relative a un comportamento specifico. Rimane ancora molto da fare invece sulla cosiddetta sospensione del giudizio, perché talvolta si ricorre al feedback per la “resa dei conti” in merito a qualche situazione cha ha visto coinvolti interessi divergenti, ma sono sicuro che divulgare la cultura del feedback sia la strada giusta verso un cambiamento costruttivo. Lavoro molto su questo tema con i miei riporti diretti: li invito a collaborare e dialogare tra loro nonostante ognuno tenda ad avanzare i propri interessi. La sospensione del giudizio è complessa e difficile da mettere in atto per chi non ha fatto nessun tipo di percorso, ma quando si riesce se ne vedono i benefici.
AC: Nella formazione in Business Coaching si lavora molto sulla capacità di sostegno al cambiamento e in questo ambito ci si allena all’utilizzo corretto del feedback quale strumento di sviluppo. La capacità di dare e ricevere feedback richiede tanto lavoro su di sé. Tutti parlano di feedback, tutti dicono di darsi feedback, ma nella realtà l’arte di dare e richiedere feedback, perchè sia davvero uno strumento principe di sviluppo, implica tanto lavoro e comprensione della sua potenza (quando è dato in modo corretto). Si danno valutazioni, suggerimenti, opinioni ma pochi veri feedback che sostengono e aiutano a comprendere quali siano i comportamenti funzionali, quali non funzionali, quali da riorientare, quali da rinforzare. Grazie alle formazione in Business Coaching si comprende chiaramente cosa è e cosa non è un feedback e ci si allena al quando e come darlo e perché darlo.
Il metodo di SCOA richiede ed allena molto la pratica riflessiva e l’apprendimento esperienziale: quanto, nella tua esperienza, questo approccio, certamente funzionale al Business Coaching, può avere un impatto rilevante sulla Managerialità?
GM: Dopo il mio percorso in Business Coaching, mi sono impegnato a trovarmi brevi momenti dedicati alla pratica riflessiva, specialmente in prossimità di riunioni o incontri critici: trovo che questo metodo, che ormai fa parte di una routine, mi aiuti nella gestione di me e nella sperimentazione di modalità di comportamento e di relazione diverse da quelle che adotterei in modo puramente istintivo. Mi aiuta sia a prepararmi che a fare follow up dopo una riunione particolarmente intensa, è diventato proprio uno strumento pratico.
AC: La pratica riflessiva ha un impatto fondamentale per la pratica manageriale. Innanzitutto perché genera comprensione e consapevolezza sul fatto che essere manager richiede un impegno a riflettere criticamente, sapendo che il percorso di apprendimento umano e professionale è senza fine, è per sempre, e quindi deve essere un percorso di miglioramento continuo, di tensione in avanti; e poi perché la vita è la nostra grande scuola, ma per poterlo essere davvero sono necessari metodo e rigore: per dedicare del tempo e creare spazi e occasioni di riflessione, per vivere le situazioni che il lavoro manageriale offre come opportunità di far palestra per diventare “meglio” e saper meglio governare la complessità. In questo è molto utile applicare il modello ciclico dell’apprendimento esperienziale di Kolb.
Lungo il percorso di formazione in Business Coaching si pone l’attenzione sulla costruzione e sulle dinamiche relative alle relazioni interpersonali. Quali sono le implicazioni, dal punto di vista manageriale, di questo focus?
GM: Sento la responsabilità di realizzare un ambiente di lavoro stimolante e piacevole nonostante le attese verso la performance aziendale siano sempre maggiori. Per fare “di più e di meglio” ogni anno non basta più avere le migliori competenze a disposizione: il mio percorso in Business Coaching mi ha fatto capire davvero quanto le relazioni interpersonali siano l’ambito che consente di avere più margine di miglioramento nei risultati complessivi. Io sono appassionato di cross-funzionalità e cerco di promuovere molto la comunicazione e la collaborazione anche tra colleghi di dipartimenti diversi, e la fiducia reciproca diventa l’elemento determinante perché questo scambio avvenga con successo.
AC: La costruzione di relazioni di fiducia, sviluppate anche grazie alla sensibilità interpersonale e alla consapevolezza delle dinamiche relazionali, è un apprendimento, uno stimolo del percorso formativo in Business Coaching, che attiva e potenzia la presa di coscienza. Sviluppare un approccio manageriale con sensibilità Coaching, costruendo relazioni di fiducia, è funzionale a realizzare quello che Mintzberg evidenzia tra le responsabilità chiave del Manager, ovvero “tirar fuori il meglio dalle persone”, sostenendole e stimolando la loro responsabilizzazione e motivazione a lavorare su di sé in un percorso di miglioramento continuo. Oggi più che mai nelle organizzazioni la differenza è fatta dalle persone e dal loro engagement. Mi ha sempre colpito, nella sua semplicità e nella sua concretezza, il significato che Mintzberg dà all’essere Manager:
- avere, sentire, e agire la responsabilità di un’organizzazione o di parte di essa
- tirar fuori il meglio dalle altre persone, così che loro possano saperla lunga, decidere e agire per il meglio
- una vocazione
Il management (afferma sempre Mintzberg) è “una pratica fortemente radicata nel contesto, che si apprende soprattutto per mezzo dell’esperienza”. Un altro spunto che ci riporta all’importanza della pratica riflessiva e dell’apprendimento esperienziale.