Ogni codice etico dei Coach prevede una forma di Supervisione, ovvero che il Coach cerchi assistenza professionale per migliorarsi nella sua professione ed evitare che questioni personali inficino il suo lavoro.
La costellazione sistemica si dimostra uno strumento assai prezioso per la Supervisione: permette di vedere immediatamente dove sia focalizzata l’attenzione del Coach e quali elementi invece trascuri. Inoltre permette di testare, grazie a una sperimentazione diretta, le reazioni del cliente al cambiamento di atteggiamento del consulente o del Coach.
La parte più delicata di ogni processo di Supervisione è l’individuazione dei fattori principali che incidono sulla prestazione reale. Nella Supervisione con le costellazioni sistemiche questi elementi vengono messi in scena per rappresentare visivamente sia i dati di esperienza che la mappa mentale del Coach. Alcuni di questi elementi sono fondamentali: oltre agli attori coinvolti è bene includere il tema del cliente, l’obiettivo concordato e le intenzioni del Coach. Accade spesso di vedere come sia utile aggiungere alla messinscena anche i timori del cliente, tanto quanto quelli del Coach, dandone quindi rappresentazione concreta, senza dimenticare pure i valori che entrano in gioco, i vincoli esterni e non ultimi i desideri e la vision.
Un esempio concreto
Recentemente una collega formatrice mi ha chiesto un urgente incontro di Supervisione.
Era stata invitata a tenere una serie di corsi di formazione sulla gestione della diversità culturale in una grande azienda internazionale, incaricata dal direttore del reparto marketing, con il direttore delle risorse umane non entusiasta di questo tipo di formazione. Tuttavia, lei non era preoccupata di questo in quanto sapeva che l’Amministratore Delegato, recentemente nominato, sembrasse sostenere il progetto. Già da questa descrizione della modalità di incarico ci appare come siano coinvolti, oltre a lei, altri tre soggetti.
Il suo primo seminario di formazione è stato un disastro. La collega era sconvolta; mai nella sua carriera aveva sperimentato un’atmosfera così ostile in un gruppo. Aveva già deciso di rinunciare e annullare i seminari successivi.
Dopo questo inizio travagliato, la sua richiesta principale era che la aiutassi a trovare la corretta motivazione a quel suo rifiuto di continuare il lavoro senza fare una figura eccessivamente poco professionale.
Nel suo racconto sul workshop fallito, avevo trovato alcuni indizi per costruire una ipotesi sulle possibili dinamiche accadute. Tuttavia, la collega era così sconvolta da non avere sul momento le risorse per seguire un ragionamento razionale. Era troppo coinvolta dalla propria emotività, oscillava tra l’incolpare se stessa del fallimento e l’incolpare i manager suoi corsisti di poca sensibilità nei confronti dell’oggetto della formazione. Considerata la situazione, ho quindi scelto di proporle una costellazione sistemica.
Leggi l’articolo di Georg Senoner su come superare i nostri punti ciechi.
La diagnosi operativa
Abbiamo perciò fatto una lista degli attori coinvolti per procedere ad una messa in scena: il direttore marketing che aveva dato l’incarico, il responsabile delle risorse umane, l’Amministratore Delegato, i partecipanti, e la collega stessa in qualità di formatrice.
Ho pensato di aggiungere alla messinscena altri cinque variabili, ovvero le intenzioni di ogni attore. L’ipotesi in cui mi muovevo era che le incomprensioni e le dinamiche aggressive raccontatemi, potessero derivare dalle tensioni nei rapporti personali tra gli attori, oppure dalla divergenza delle loro intenzioni o, molto probabilmente, da un mix di entrambe le cose.
Ho invitato la collega a scrivere su cinque fogli di carta le sigle di ciascun attore e poi su altri cinque fogli altre sigle a significare le rispettive intenzioni degli stessi. Ciò significa che complessivamente avevamo dieci elementi da collocare in scena.
“Trova nella stanza un posto per te, contrassegnalo con il corrispondente foglio di carta e immagina di essere nel bel mezzo del seminario di formazione”, le ho suggerito.
Uno per uno, l’ho invitata a posizionare gli altri fogli corrispondenti agli attori coinvolti.
“Ora immagina dove sta il direttore marketing, quello che ti ha incaricato”. – “Proprio alle mie spalle. Potrebbe sembrare strano, ma questo è ciò che mi sembra”., mi ha risposto – “E ora trova il posto per l’Amministratore Delegato”. – “Non è facile. Non l’ho incontrato personalmente. La mia sensazione è che sia abbastanza distante. Il direttore marketing e io siamo nel suo raggio visuale, ma lui è concentrato altrove”.
Le ho chiesto poi di posizionarsi sopra ogni foglio di carta ed esprimere, da lì, quello che le venisse in mente. Dalla propria posizione ha detto: “Mi sento chiaramente abusata dal direttore marketing come arma nella propria lotta contro il responsabile delle risorse umane. Allo stesso tempo vorrebbe usarmi per attirare l’attenzione dell’Amministratore Delegato verso di lui”.
Dalla posizione del responsabile delle risorse umane: “Questo posto sembra ancora peggiore del mio. Qui mi sento sono sotto attacco da parte del direttore marketing e non ottengo alcuna attenzione da parte dell’ AD. Mi sento minacciata. E poi, questa formatrice esterna cosa vuole da noi?”.
Le sue narrazioni dalle altre posizioni/fogli hanno completato l’immagine e la storia, e a questo punto le ho chiesto di posizionare le intenzioni dei vari attori. Dopo aver posizionato la propria intenzione come formatrice, la mia collega si è resa conto che il suo intento andasse al di là del contratto specifico con l’azienda. L’intenzione profonda che la muoveva personalmente nella sua proposta di formazione era quella di favorire una comprensione reciproca tra le persone di diversa natura, secondo un bisogno di contribuire umanamente al miglioramento della nostra società in generale. Ma questo obiettivo era troppo generico e non era stato calibrato rispetto al contesto operativo aziendale in cui era stata chiamata ad operare. Inoltre i fogli che rappresentavano le intenzioni dei diversi attori coinvolti non si incrociavano in nessun punto, abbiamo notato con un certo stupore che tutti sembravano essere attratti da qualcosa di diverso, ciascuno seguendo una finalità propria e non condivisa.
La ricerca di una soluzione
L’ho invitata a cercare una possibile strategia per gestire la situazione. L’ho invitata a riprendere la propria posizione e seguire l’impulso di movimento che per primo nascesse in lei.
“Oh, il mio impulso più forte è ancora quello di girare le spalle a tutti e andarmene”, mi dice – “Allora prova…Ti senti meglio adesso?” – “No, no, c’è qualche sollievo, ma sarei una vera vigliacca, non posso farlo. E ora, in qualche modo, mi tenta la possibilità di riuscire a capovolgere la situazione ed avere successo in questo lavoro”. – “Quale potrebbe essere una posizione alternativa in cui potresti metterti?”, le chiedo – “Lasciami provare, devo in ogni modo uscire dall’ombra del direttore marketing e avvicinarmi ai dirigenti che frequentano la formazione. Qui mi sento molto meglio, posso muovermi più liberamente. La tensione verso il direttore delle risorse umane è diminuita.e ho una migliore connessione con l’Amministratore Delegato”. E così abbiamo concluso la nostra prima sessione.
La sera del successivo workshop di formazione ho ricevuto un suo SMS: “Ho appena finito il seminario. È andato benissimo, grazie per il tuo supporto!”. Così ho chiamato per sapere ciò che per lei avesse fatto la differenza.
“Due cose”, mi dice, “sono state importanti: vedere come fossi capitata nel fuoco incrociato tra il responsabile delle risorse umane e il direttore marketing mi ha permesso di riprendere il controllo del mio ruolo e di concentrarmi sui bisogni e sugli interessi dei partecipanti”. E inoltre: “Ho preso coscienza del fatto che le intenzioni e le aspettative delle varie parti interessate divergessero in modo sostanziale. Così ho deciso di dedicare il tempo necessario per un chiarimento del mio intervento, prima in una telefonata con l’Amministratore Delegato, poi in un breve incontro con il responsabile delle risorse umane e infine con i partecipanti in aula”.
In conclusione, la costellazione come strumento di Supervisione è riuscita a dare spunti decisivi per cambiare le carte in gioco e la mia collega ha avuto modo di raccoglierne i frutti.
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