Abbiamo chiesto a Roberto Degli Esposti, Executive Business Coach, Managing partner e Docente SCOA – The School of Coaching, e ad Annarita Galanto, Executive Business & Team Coach PCC, di parlare del Team Coaching e di come questa pratica porti un contributo positivo in azienda.
Come si approcciano le aziende al Team Coaching? Perché i Coach dovrebbero portare la cultura del Team Coaching in azienda?
Roberto Degli Esposti: Le aziende, consapevolmente o meno, hanno già puntato tutto sui team ed editano nuove soluzioni basate sul raggruppamento delle risorse in una squadra che porti risultati, e affidano a questi team responsabilità sempre maggiori.
Inoltre, le organizzazioni sono amministrate da team che una volta venivano chiamati Comitati di Direzione e ora si sono evoluti nei Leadership Team.
Di fatto, la domanda da porsi non è se sia giusto o abbia senso fare Team Coaching. Il punto è che le aziende si sono strutturate sui team senza avere una preparazione adeguata per allenare le persone a lavorare in una squadra: è questo il problema da risolvere.
Nella maggior parte dei casi, circa l’80%, i team non producono i risultati prefissati. Le aziende non ottengono quello che dal team si aspettavano, ed è qui che interveniamo noi portando la metodologia del Team Coaching ai futuri Coach.
Rispetto alla modalità operativa e di apprendimento con cui sono stati formati professionisti e manager nella cultura italiana, chiedergli di lavorare in team è un controsenso.
Infatti, ci alleniamo a lavorare in team in pochissimi momenti della nostra formazione scolastica: non esistono modelli educativi che ci preparino alle logiche di gruppo, al lavoro di squadra, salvo gli sport o le esperienze extra scolastiche. Non fa parte della forma mentis del sistema educativo perché siamo cresciuti con l’idea che “chi fa da sé fa per tre”, e questo modus operandi è esattamente opposto a quello del Team Coaching.
Annarita Galanto: come Roberto ha evidenziato, noi non siamo abituati o allenati a lavorare in team. In particolare in Italia, quella che emerge è una cultura spiccatamente individualista e i risultati di ciò sono chiaramente visibili, soprattutto in questo periodo storico, a tutti i livelli: economico, politico, industriale, civile.
Per imparare e allenarsi a lavorare bene in team, occorre creare una cultura di team. Davanti a una crescente complessità operativa e strategica, le organizzazioni richiedono sempre più spesso ai loro collaboratori di lavorare in team, ma questo richiede un percorso.
Il riunirsi intorno ad un tavolo non implica automaticamente la formazione di una squadra e anche l’aver individuato un obiettivo comune: l’obiettivo non è l’elemento detonatore dei team!
Il Team Coaching è il mezzo che permette di creare “cultura” all’interno dei team, di rendere consapevoli i membri che lo compongono di come “funzionano insieme”, di quali siano le loro dinamiche di interazione e su quali comportamenti è necessario focalizzarsi per ottenere i risultati attesi e ambire ad un sistema efficiente, efficace e quindi performante.
Perciò, il Team Coaching innesca una trasformazione all’interno dei team, dove l’obiettivo diventa il mezzo e non il fine.
Il fine è scoprire e capire qual è il potenziale del team e degli individui che lo compongono e come lavorare al meglio insieme per attingere costantemente a questo potenziale, mettendolo a fattor comune e sviluppandolo nel tempo.
Partendo dalla tua esperienza nel campo del Team Coaching e del Leadership Team, ritieni che all’interno di un team i ruoli rimangano sempre fissi e cristallizzati, o l’individuo cambia durante questo percorso?
R.D.E: Sì, avviene sicuramente una trasformazione. In realtà osservo che questa avviene quando, nel team, i membri riescono a essere se stessi piuttosto che il ruolo che ricoprono in azienda.
Tutti siamo chiamati ad interpretare un ruolo. Tuttavia, ciascun individuo lo interpreta soggettivamente. Il ruolo che ricopriamo può essere visto come un abito, un pezzo di stoffa che fisicamente ci avvolge e dice al mondo che tipo di professionisti siamo. In latino. la parola habitus significa abito: è quel qualcosa che indossiamo tutti i giorni, perciò un’abitudine.
Il nostro ruolo corrisponde a quell’habitus, o abitudine, che ci veste e ci definisce. Invece, quando lavoriamo in un team performante, constatiamo che non è composto da ruoli, bensì da PERSONE.
Ho avuto la fortuna di lavorare con persone che non si fossilizzavano sul ruolo aziendale. Mi è capitato di partecipare a un Leadership Team composto dal Direttore Marketing, dal Financial Officer, da due capi di Business, dall’AD e io in veste di Responsabile di Funzione. Il Direttore Marketing notando che parlavo di Business, mi chiede perché stessi affrontando un argomento non di mia competenza: “Dovresti parlare del personale!”.
La mia risposta? “Mi occupo del personale fuori da qui, ma in un Leadership Team mi occupo anche di Business”. L’AD allora volge lo sguardo al Direttore Marketing e gli dice: “Dottore, ci sono tante cose che lei deve ancora imparare”.
È proprio questa la trasformazione: mettere in secondo piano il “ruolo/abito” e avere la libertà di essere più autentici. Il contributo che noi offriamo al team proviene dalla persona, non dal ruolo ricoperto.
È naturale che ci sia sempre un opinionista in campo, ma tutto quello che facciamo non deve rimanere circoscritto solo al ruolo e alla funzione che ricopriamo in azienda.
Leggi l’articolo sul ruolo nel Business Coaching e la nostra intervista all’attore Gennaro Iaccarino.
A.G.: La metodologia del Team Coaching suggerisce che si assegnino ad ogni incontro dei ruoli specifici, che facilitino le interazioni durante il lavoro di squadra.
Scambiarsi i ruoli ad ogni incontro aiuta a vivere il ruolo come funzionale al processo, piuttosto che sentirlo come identificativo. Questo facilita molto l’evoluzione e lo sviluppo del team, oltre che dei membri che lo compongono, e aiuta a fare quel passo che porta poi tutti ad identificarsi non più come singoli, ma come parte di un’entità terza che è appunto il TEAM.
Il team migliore con cui hai lavorato che caratteristiche aveva? Il team ideale come “deve” essere?
R.D.E.: Ho individuato alcuni punti ricorrenti:
- Un leader molto convinto che il lavoro di squadra sia determinante per il successo e il raggiungimento dell’obiettivo.
- I team funzionano molto meglio quando sono di nuova costituzione o frutto di un cambiamento forte, come un momento di transizione aziendale o nella fase finale di un progetto.
- Quando si sta per concludere un ciclo, quando ad esempio l’azienda decide di ricollocare 3 o 4 membri del Leadership Team in un’altra divisione, gli ex membri del team sono consci di aver concluso un percorso di team e portano questa consapevolezza nei nuovi team conservandola nel proprio bagaglio professionale e personale: è avvenuto un processo di germinazione della forza del team in un nuovo progetto, e quindi in una nuova squadra.
- I team appena formati sono tabule rase a cui il Leader dà forma, mission e motivazione, e il team è nella sua fase più performante ed efficiente. Come il primo giorno di scuola, quando si dà il massimo se si seguono le regole del professore e non vige l’anarchia.
- Altra caratteristica è la numerica: si lavora bene in un team di 6 o 9 persone, il massimo è di 14.
- Ma la componente che in ogni team dovrebbe essere costante, è la fiducia. Il processo, la macchina funzionante che manda avanti il team si fonda infatti sul dialogo e la fiducia: la comunicazione è importante.
- Inoltre, un approccio eccessivamente ordinato e rigoroso e quadrato non è fondamentale al fine di rendere il team perfomante: a volte il disordine e un approccio spontaneo si risolvono in un modus operandi creativo che trova soluzioni inaspettate e a volte geniali, e che soprattutto, permette alle persone di esprimersi al meglio. È questo che fa la differenza.
Leggi l’articolo di Andrea Morici sugli Stili di Comunicazione diversi: un tesoro per il Team sul blog di Performant by SCOA.
A.G: Nella mia esperienza, le caratteristiche comuni a team particolarmente performanti sono fondamentalmente:
- valori, obiettivi, rituali comuni
- un’ottima comunicazione tra i membri del team
- l’aver acquisito la “cultura” del feedback
- riunirsi con regolarità
Inoltre, le logiche che i team vincenti perseguono sono il poter affermare la propria individualità all’interno del team, perché si dà riconoscimento e valore all’unicità e al contributo esclusivo di ognuno. I conflitti vengono risolti mediante comprensione reciproca, sotto forma di soluzioni consensuali, perché a monte è stato definito un accordo comune su come gestirli. Ne consegue che i membri del team si sentono una totalità, un’entità terza e creano sinergia.
Se poi si riesce a creare anche una stretta relazione tra i membri del team, se vi è entusiasmo e ispirazione date da una vision e mission comuni e c’è il conforto di una serie di successi, si può parlare addirittura di Power-Team!
Vuoi saperne di più sul Team Coaching? Leggi l’articolo di Marianne Fröberg, Business Coach at Performant by SCOA – The School of Coaching.
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