Elena Clara Maria è una eco-influencer. Sul suo canale instagram, che vanta più di ventimila follower, parla di etica, attualità, ambiente e promuove quei gesti quotidiani che possono veramente fare la differenza.
Che cosa si intende per ecosostenibilità?
A mio parere, l’ecosostenibilità e la creazione di un prodotto ecosostenibile è la creazione di un prodotto che migliora il benessere della persona senza togliere qualcosa all’ambiente, che fa qualcosa per la generazione di oggi senza compromettere quelle future. È un discorso che ha a che fare con il non “togliere all’altro”. La sostenibilità viaggia a pari passo con l’empatia, è una componente essenziale.
Parlando ad un pubblico giovane, viene naturale chiedersi quale sia il legame tra le nuove generazioni e la responsabilità ambientale. Perché credi sia un sentimento maggiormente condiviso dai giovani? Che cosa possono aiutare queste generazioni più attente ai loro genitori o a chi è più grande?
La motivazione è che sentiamo che ci riguarda di più anche in base a dati oggettivi. Quest’anno alle Hawaii è stato registrato il più alto tasso di biossido di carbonio nell’atmosfera nella storia dell’umanità, 415 ppm. Si tratta di una quantità di CO2 che minaccia un sacco di specie sul pianeta e che ha portato all’estinzione di migliaia di specie animali.
La cosa più facile per coinvolgere gli altri è parlare di piccole cose, perché sono i piccoli cambiamenti quelli che costano poco, che fanno scattare la scintilla dell’altro e fanno venire voglia a interessarsi di cose più grandi. Io, per esempio, sono riuscita a trasmettere informazioni utili nella mia famiglia e tra i miei amici molto più facilmente attraverso le cose più piccole e quotidiane. Ognuno di loro poi da solo si è spinto con qualche gesto in più.
Che cosa può fare ognuno nel proprio piccolo per condurre una vita più etica e ecosostenibile?
La cosa che dico sempre e che serve di più è sviluppare un pensiero critico e quantitativo e parlare con gli altri dei nostri cambiamenti, e questo per il tipo di scintilla che possono far scattare, di cui parlavo prima.
Ci sono cose che impattano più di altre: la scelta di energia elettrica da fonti rinnovabili a casa propria è centinaia di volte più impattante rispetto alla differenziata. Questo anche se la differenziata è la cosa su cui mi sono più battuta, e ne ho parlato così tanto perché farla non costa particolare impegno o fatica. È un dovere civile ed è più facile promuoverla. Mi concentro di meno su uno stile di vita zero plastic perché va comunque a proiettare sul singolo una responsabilità che non può addossarsi da solo: va bene ricordarsi delle posate da casa, ma non è la cosa più importante, e dovrebbero essere le mense a non offrire l’opzione di plastica ma un’opzione riutilizzabile o compostabile. E’ giusto che ci impegnamo tutti a migliorare le nostre abitudini ma ci vorrebbero imposizioni dall’alto, delle leggi, perché la responsabilità non può cadere tutta sulla persona singola. Quanta energia mentale può costarmi ricordare di mettere nella borsa del lavoro le posate di ferro pur di non utilizzare quelle di plastica? È un impegno effettivo, che dovrebbe essere regolamentato da un’istituzione per lasciare a noi l’energia mentale di occuparci di scelte che impattano di più e che nessun altro può fare al posto nostro; Lifegate, per esempio, ha stilato questo tipo di classifica sulle cose più impattanti sulle quali possiamo intervenire a casa nostra.
E nell’ambiente lavorativo? Secondo te cosa si potrebbe fare per ridurre gli sprechi?
Ci sono ambienti lavorativi dove lo spreco e i rifiuti sembrano assurdi a un privato. Penso sempre ai set cinematografici e di produzione televisiva. In quegli ambienti, ogni giorno, si buttano molti degli oggetti di scena che hanno coadiuvato la trasmissione. Ho un amico che fa il fonico e mi racconta costantemente queste cose. Ora, ad esempio, è sul set di un film italiano dove hanno adottato una politica plastic free: ogni giorno la produzione riceve il pranzo in contenitori di vetro che vengono riutilizzati. Devono, tuttavia, continuare a usare le bottigliette di plastica per questioni legali, e questo fa male, perché pensi che ci dovrebbero essere imposizioni e leggi dall’alto per permetterci di fare di meglio. La responsabilità non può ricadere tutta sul singolo cittadino.
Pensiamo anche al fortunato tour di Jovanotti , il Jova Beach Party: è un’iniziativa pensata come plastic free ma non è stato possibile limitare l’utilizzo delle bottigliette per questioni legali e burocratiche. In Italia, infatti, è proibito l’utilizzo di contenitori che non siano infrangibili come borracce o bottiglie di vetro ai concerti. In questo senso, servirebbero delle leggi. Tornando all’ufficio, è necessario sprecare il meno possibile. La differenziata dovrebbe essere una regola aziendale da seguire pedissequamente. Inoltre serve una cultura sulla differenziata: un errore madornale, e questo succede in uffici di contabilità o in negozio, riguarda gli scontrini, spesso erroneamente buttati nel cestino della carta.
Cosa rende un brand o un’azienda ecosostenibile?
La trasparenza non è una conditio sine qua non, ma è molto importante. Tutto è misurabile. L’ impatto di un brand, che sia carbon negative o a impatto zero, è molto importante per la definizione di un’azienda come ecosostenibile, così come la tracciabilità della filiera lavorativa, la pubblicazione di un report di sostenibilità dove si raccontino al consumatore anche i futuri impegni dell’azienda per essere più green, la creazione di un prodotto che migliori il livello di benessere del cliente senza togliere qualcosa all’ambiente o ai propri lavoratori.
Il salto che si può fare non è tanto quello di piantare alberi (solitamente l’iniziativa più inflazionata nell’offset privato e aziendale), ma restituire qualcosa a livello sociale. È un tipo di offset, questo, che rende molto di più anche all’ambiente perché migliora lo stile di vita delle persone e le porta ad avere un’impronta più leggera. Un recente progetto certificato dal Gold Standard (una delle più importanti certificazioni per un offset responsabile) riguardava la sostituzione, per la popolazione del nord del Darfur, delle stufe a legno e a carbone con stufe a gpl a efficienza energetica e combustione pulita.
Secondo l’OMS il fumo interno causato dalla combustione di combustibili solidi può esporre donne e bambini piccoli a un inquinamento 100 volte superiore a livelli accettabili. Molti fornelli migliorati sono associati alla riduzione del fumo, che può ridurre l’esposizione all’inquinamento dell’aria interna.
Le famiglie partecipanti si iscrivono a un’iniziativa di microfinanza finanziata da Carbon Clear e gestita da un gruppo di comunità locali, l’Associazione per lo sviluppo femminile. Il programma di microfinanza prevede prestiti per famiglie che altrimenti non sarebbero in grado di sostenere il costo iniziale relativamente elevato della stufa a GPL. La formazione per eseguire il programma di microfinanza ha anche aiutato il gruppo femminile a sviluppare la capacità di avviare altre iniziative: l’ambiente e il sociale sono sempre collegati, non esiste ecosostenibilità senza iniziative filantropiche. È inevitabile che un’azienda abbia un impatto sull’ambiente. Quello che può fare è “azzerarlo”, dopo aver ridotto il più possibile il suo spreco, investendo in progetti ecosostenibili con il gold standard, appunto più efficaci e che restituiscono nel sociale.
Quali sono gli errori comuni che si fanno in ufficio in tema di non ecosostenibilità?
L’ambiente d’ufficio è dominato dalla fretta e la fretta è la peggior nemica dell’ecosostenibilità. Una fugace pausa caffè comporta la tazzina di plastica o la bottiglietta d’acqua e significa “andare nel posto più vicino alla scrivania”. Gli uffici dovrebbero, in questo senso, essere organizzati anche in prospettiva delle pause dei dipendenti. C’è un progetto chiamato Rivending dove le macchinette del caffè, i bastoncini e i bicchieri vengono continuamente riciclati per rifare altri bastoncini e bicchieri. L’ufficio dovrebbe implementare questo pensiero per concedere a dipendenti e colleghi pause più consapevoli. Un contesto virtuoso implementa un circolo virtuoso perché il contesto ti favorisce. In una casa pulita, hai voglia di tenere in ordine. In una casa già sporca no: l’ambiente ti plagia.
Che benefici può trarre un’azienda dal diventare green responsible?
Penso sempre al modello delle BCorp che funziona ed è attraente per il consumatore e per gli investitori. In Italia abbiamo 54 BCorp, siamo il primo paese in Europa per numero di BCorp. Lo scopo del movimento globale delle B Corp® è fare in modo che la performance ambientale e sociale delle aziende sia misurata in maniera tanto solida quanto i risultati economici. La certificazione B Corp® è uno standard riconosciuto da una terza parte che richiede alle aziende di rispettare elevate performance di sostenibilità sociale e ambientale e di rendere trasparente pubblicamente il punteggio ottenuto attraverso il protocollo B Impact Assessment, che è lo standard di misura di impatto più diffuso al mondo, adottato da oltre 60.000 aziende in oltre 50 paesi.
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Qual è il valore che un’organizzazione ecosostenibile crea al cliente finale?
Il primo motivo per cui un cliente compra da un’azienda ecosostenibile è per il significato che gli restituisce di sé stesso. La risposta può essere un banale “così divento una persona migliore” che, però, non necessariamente è considerabile un atteggiamento superficiale. Il legame che si crea ha veramente un riflesso sul mondo esterno e, in questo senso, il principio di identificazione del prodotto è veramente importante.
Dieci anni fa, pur conoscendo le dinamiche poco ecosostenibili dei grandi brand, ci si preoccupava meno nell’acquisto di un paio di sneakers. Oggi, complice una maggiore consapevolezza sul tema, la maggior parte dei giovani ingaggiati nei temi ecosostenibili, il cambiamento riguarda il percorso di identificazione: non ci si vuole più identificare nel logo della Nike perché significherebbe, inevitabilmente, identificarsi con i suoi valori produttivi. Il processo d’acquisto si riduce a un rapporto di significati. L’esperienza dello shopping deriva dall’acquisizione di uno status, e se le scarpe della Nike non ti fanno più acquisire uno status e allora le scarpe della Nike non le vuoi più.
Ti vengono in mente delle aziende che hanno compiuto delle belle iniziative in favore di un’attenzione maggiore all’ambiente?
Mi viene in mente Womsh. Produce scarpe con un materiale innovativo, appleskin, un tipo di pelle vegetale che al poliuretano unisce la fibra della mela, recuperata dagli scarti di lavorazione industriale in Alto Adige; è un materiale realizzato in Veneto da un’azienda chiamata Frumat (vincitrice del Green Carpet nel 2018 per l’innovazione). Un’altra realtà è Fulgar, un’azienda italiana che ha prodotto ilQnova, una nuova fibra di nylon premiata per l’innovazione. C’è anche Organic Basics, un’azienda danese che crea dei capi basic sportivi trattati con i sali d’argento. Per gli sportivi significa acquistare una maglietta che anche se sudi puoi tenere più a lungo.
Come si può comprendere se la strategia comunicativa di un’azienda sia effettivamente green friendly o basata sul greenwashing? Ci sono degli strumenti che aiutano il cliente finale nella scelta di determinati brand piuttosto che altri?
Misurabilità e tracciabilità sono componenti essenziali. Esistono app che aiutano il cliente ad avere facile accesso a informazioni che altrimenti sarebbe difficile ottenere o comprendere. Il report di sostenibilità non è molto normato, di certo non è falsato, ma molto spesso è abbellito e quindi non è facile per un consumatore trovare falle nei produttori di fast fashion.
Una buona app che dà una valutazione chiara sui report di sostenibilità è “Good On You, disponibile sia per iPhone che per Android. Good On You ha listato tutti i brand d’abbigliamento con un punteggio da 1 a 5, dove 1 è EVITARE e 5 è brand molto buono. I criteri di valutazioni sono basati su datazione e fonti, completamente trasparenti e in grado di aiutare il consumatore nella comprensione di come è stato costruito il giudizio.
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