L’esperienza del Senior Practitioner: modulo 8

L’esperienza del Senior Practitioner: modulo 8

L’esperienza del Senior Practitioner: modulo 8

Due giorni nella location di Cascina Erbatici per parlare di emozioni, conoscersi meglio e andare a fondo nella scoperta di sé: questo è quello che è stato l’ottavo modulo del Senior Practitioner in Business Coaching, che ha offerto ai partecipanti strumenti ancora più efficaci per meglio gestire se stessi e insegnare al Coachee a fare altrettanto. Quali sono stati gli effetti di questa esperienza? Lo abbiamo chiesto a Maria Luisa Cammarata, Global Chief People Officer di Gi Group Holding.

  • Ci racconti qualcosa su di te e sul motivo che ti ha spinto a iscriverti al Senior Practitioner in Business Coaching?

    Ho la fortuna di essere la Global Chief People Officer di una multinazionale italiana, Gi Group Holding, che si occupa di risorse umane: un gruppo con oltre 9.000 dipendenti e attività in 37 Paesi, in cui sono responsabile della strategia People (la crescita e lo sviluppo dei dipendenti e dell’organizzazione), guidando l’integrazione di culture organizzative diverse e supportando tutte le funzioni e le attività nei nostri mercati. Sono di origine siciliana, vivo a Modena da quando avevo 15 anni, ma sono anche un po’ figlia della cultura milanese visto che non ho mai lavorato sul territorio in cui vivo, e questo incrocio di culture è quello che mi ha spinto a fare cose molto diverse nella vita: prima di arrivare alle risorse umane mi sono occupata di sviluppo commerciale, lancio di nuovi servizi, direzione commerciale e operation. Le risorse umane sono state il punto di arrivo. Il motivo per cui ho scelto di seguire il Senior Practitioner in Business Coaching è che penso che non si smetta mai di imparare e in più volevo capire il Coaching da un punto di vista che non avevo ancora sperimentato: sono stata Coachee, sono stata la cliente, ma volevo anche vedere com’era essere dall’altro lato. Quello che ho scoperto è che questo percorso è un impegno importante, ci vuole costanza. Mi è servito anche per dimostrare a me stessa che nonostante la posizione raggiunta ci si può ancora dedicare a cose lunghe e intense, c’è sempre qualcosa in più da apprendere. Una volta che mi sono decisa non ho avuto dubbi su SCOA: è l’azienda che ho usato con più convinzione da committente, conosco Roberto Degli Esposti da tanti anni e sapevo di potermi fidare.

  • L’ottavo modulo è quello che in generale desta più curiosità: è residenziale, si lavora sulle emozioni, sul modo in cui le si gestisce. Che aspettative avevi? Come si sono svolte queste due giornate?

    Avevo delle aspettative molto alte, sia sul modulo in sé che sulla docente: saremmo stati due giorni in un posto lontano, avremmo passato molto tempo insieme, ci saremmo conosciuti ancora di più. Credo sia una cosa molto bella, quella di dedicare due giornate intere alle emozioni. Per me sono state l’occasione per lavorare molto su di me: il tema era far vedere al Coach come lavorare sulle emozioni del Coachee, ma io ne ho approfittato prima di tutto per vedere me stessa, il mio equilibrio nel riconoscere e gestire le emozioni. Anche perché credo che un Coach che non sta  bene con se stesso e non sa entrare in contatto con il suo mondo emotivo difficilmente riuscirà a far emergere le emozioni con il Coachee. Quindi in quei due giorni ero completamente settata sul lavorare su di me, ora devo sperimentare come mettere in atto questo lavoro con un’altra persona. Questo weekend quindi è stato davvero utile perché ci ho trovato dentro tante conferme: buona parte è merito anche del gruppo, che si è dimostrato ancora una volta motivato e disposto a mettersi in discussione sempre. E poi anche la location ha fatto la differenza: un posto bellissimo, accogliente e molto ben organizzato, un ambiente perfetto per mettersi in contatto con sé stessi.

  • In che modo pensi che lavorare sulle proprie emozioni o su un altro aspetto che è stato approfondito, ovvero le convinzioni limitanti, possa essere utile sia per il Coach che per il Coachee?

    Innanzitutto ho avuto la conferma che le emozioni non sono né positive né negative: di solito a quelle che consideriamo come negative facciamo più caso, quelle positive pensiamo di non doverle gestire, ma in realtà tutte andrebbero riconosciute. Questo è un insegnamento molto utile per un Coach perché lavora in un contesto di professionalità, in cui c’è un’etica, e non deve farsi travolgere, ma anzi deve riuscire a tenere la giusta distanza e non entrare nel gorgo con il Coachee. Non deve essere né parte né controparte, e in questo il discorso delle convinzioni limitanti è stato utile anche per noi. Vedere queste convinzioni porta a capire perché si reagisce in un certo modo e dà conferma del fatto che sia necessario guardare le cose da un punto di vista che non è il proprio: non è un passaggio semplice da fare perché le emozioni travolgono e quindi il Coachee non si dà il tempo di chiedersi che cosa sta provando e perché, non vede più niente. L’errore che bisogna evitare di fare quando si affrontano questi argomenti è quello di essere troppo tecnici: gli esempi sono molto più efficaci di una parola specifica.

  • Quali sono i nuovi attrezzi del mestiere che ti sei portata a casa dopo questo modulo? In che modo la relazione con i tuoi compagni di corso ha favorito la tua crescita in questo senso?

    Sicuramente tra i miei strumenti ora c’è la mindfulness: non abbiamo fatto un percorso specifico su questa disciplina, ma sperimentarla è stato un bel modo per far capire che c’è anche questo strumento. La sessione che abbiamo fatto sul nostro corpo, per guardarci dentro, era interessante proprio perché era un lavoro sulla consapevolezza di sé. Poi c’è il feedback, di cui mi sono portata a casa una conferma di quanto sia importante chiederlo anche in modi diversi. La relazione con i colleghi in questo modulo è stata un aspetto fondamentale: parlando di emozioni bisogna essere pronti a lasciarsi andare e se hai colleghi che ci credono funziona. Siamo tutti molto motivati, molto convinti, e questo modulo ci ha riempito di stimoli ulteriori: non facevamo in tempo a segnarci un libro che ce n’era già un altro da aggiungere alla lista.

  • Il prossimo modulo, il nono, sarà l’ultimo. Come ti senti ora che il percorso è arrivato quasi alla fine?

    Questa domanda è stata ricorrente nei due giorni. Ho due risposte: una riguarda come mi sento e una come questo percorso mi ha fatto riflettere su di me. La prima è che mi sento stanca, perché come dicevamo prima il Senior Practitioner in Business Coaching è impegnativo, bisogna essere forti per portarlo avanti. Però ora mi sento anche molto diversa, in meglio, e di questo sentirmi diversa ho avuto la conferma anche da coloro che con me hanno fatto questo percorso e mi hanno potuto osservare. Quando ci si impegna così tanto in una cosa strutturata inevitabilmente cambia qualcosa e il cambiamento stanca, ma la trasformazione è necessaria e quindi sono molto soddisfatta. È stato come fare una corsa: all’arrivo sei sudato, stanco, ma sai anche di avere tanti chilometri sulle gambe e quindi sei diverso. Tra le persone con cui ho parlato in veste di Coach ce n’è una che sta intraprendendo un cambiamento professionale, ma lo sta resistendo. Le è stato molto d’aiuto una metafora sportiva: le ho detto che c’è un momento in cui si passa da essere tifoso a giocatore. Si può diventare il giocatore titolare, quello in panchina, oppure anche l’allenatore, ma quando si passa da quella parte, il tifoso non deve più predominare. Il tifoso è di parte, vede solo la sua fede, mentre quando si è in campo si devono vedere gli avversari, ricordare la propria strategia, avere in mentre l’obiettivo della squadra, riconoscere i compagni di squadra e sapere dove investire il tempo e come gestire la fatica in allenamento e in partita. È importante per il Coach e per il Coachee ricordarsi: dove sei adesso? È un passaggio per cui bisogna allenarsi, ma una volta che si è iniziato, non si smette più.
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