EMOZIONI E SOSTENIBILITÀ: UN BINOMIO DA APPROFONDIRE
Quando si parla di sostenibilità sono tante le emozioni che entrano in campo e non sempre è facile riconoscerle e gestirle. Sono diverse, piene di sfaccettature e in alcuni casi anche contraddittorie, ma sono tutte valide e per questo vanno considerate nello specifico. Alcune possono essere considerate come positive e altre invece negative, ma questa dicotomia non è affidabile: analizzare nel dettaglio ed essere consapevoli delle emozioni che la trasformazione sostenibile fa nascere in azienda può fare la differenza tra una buona riuscita o il fallimento del percorso. Come fare per capire cosa succede nel lato più emotivo del team? Ecco come approfondire.
Ciò che governa le strategie aziendali, molto spesso, sono i dati: situazioni oggettive da cui partire per elaborare ragionamenti e percorsi che portino l’organizzazione a performance migliori. Anche quando ci si trova davanti a fatti inconfutabili, che indicano una direzione necessaria e indiscutibile, però, è importante tenere a mente che se le strategie viaggiano principalmente su binari razionali, le persone che devono portarle a compimento non fanno altrettanto (non solo per lo meno): un aspetto importante nei pensieri e nelle azioni di chi lavora, infatti, è quello più emotivo.
Questo discorso vale anche quando si tratta di implementare una strategia che porti l’azienda a un percorso verso la sostenibilità: per quanto sia indiscutibile che è necessario compiere dei passi in questa direzione, applicare dei nuovi comportamenti, delle nuove procedure, significa chiedere alle persone di mettere in atto un cambiamento. Sicuramente una comunicazione efficace in tutte le fasi della trasformazione è fondamentale per motivare, informare e coinvolgere chi è parte dell’organizzazione, ma anche quando tutto viene comunicato correttamente, avere il polso della temperatura emotiva di come le persone stanno reagendo al cambiamento può essere la linea di demarcazione tra la riuscita o meno della transizione sostenibile. Le emozioni, infatti, in tutte le loro sfaccettature, possono avere un impatto, sia in positivo che in negativo, sul percorso delineato.
Il Coaching, nelle organizzazioni, è utile proprio a questo: innanzitutto a far emergere le emozioni delle persone e dei team e a dare loro un nome, poi a condividerle, creando momenti di confronto e dialogo, e infine a imparare a sfruttarle, a utilizzarle come leva per rendere tutte le persone partecipi e non rischiare che l’emotività diventi un freno o che un malumore serpeggiante possa far scendere il morale anche di chi era inizialmente più entusiasta.
Che emozioni dà la sostenibilità?
Nel corso del 2023, noi di SCOA – The School of Coaching, insieme ai nostri partner LIITO e Università degli Studi di Milano – Bicocca abbiamo realizzato un corso online e on demand per tutti i tipi di organizzazione e per tutta la popolazione aziendale, dal titolo SOSTENIBILITÀ IN AZIENDA – Alfabetizzazione alle competenze ESG, e all’interno di questo percorso ci è sembrato necessario inserire una parte proprio riguardo alle emozioni che possono scaturire dal tema della sostenibilità.
Non solo un elenco di ciò che può succedere nella parte più emotiva delle persone, ma un vero e proprio modello che va ad analizzare lo spettro completo e complesso delle emozioni che possono nascere quando ci si trova ad affrontare un tema multisfaccettato come quello della sostenibilità dal punto di vista ambientale, sociale e di governance: il fiore delle emozioni.
Siamo partiti da otto emozioni base (amore, sorpresa, tristezza, paura, vergogna, disgusto, gioia e rabbia) e per ognuna ne abbiamo trovate quattro che rappresentassero la varietà delle emozioni che la sostenibilità può generare. Alcune sono molto note, altre vengono da culture di vari paesi del mondo, altre sono emozioni nate nel mondo tecnologico in cui viviamo oggi.
Il motivo per cui è importante allenarsi a sentirle, riconoscerle e condividerle è che molto spesso le emozioni che si provano non sono univoche, ma al contrario possono dimostrarsi contraddittorie, in conflitto tra loro, e che anche dalle emozioni che siamo abituati a percepire come positive possono scaturire effetti negativi, e viceversa.
Le emozioni non sono positive o negative di per sé, ma imparare a decodificarle, anche nella loro complessità, può aiutare a utilizzarle come spinta propulsiva al cambiamento.
Prendiamo, ad esempio, l’amore: abbiamo declinato questa emozione, nei confronti della sostenibilità, in appartenenza, speranza, passione ed empatia. Un sentito che, in linea di massima, viene considerato come positivo. Quindi il rischio qual è? Per un’azienda il lato negativo di un amore forte nei confronti di questo tema potrebbe sfociare in una spinta troppo istintiva, poco ragionata, poco strategica, che potrebbe portare a compiere degli errori di valutazione dovuti a un sostegno molto appassionato alla causa.
Al contrario, se invece prendiamo in considerazione la paura, che abbiamo declinato in inquietudine, ambiguofobia, climate grief e ansia, anche qui possiamo avere due risvolti opposti: da un lato un atteggiamento che spinge all’inazione, con un atteggiamento attendista, passivo, che crea più ostacoli che proposte (una ricerca dell’Università di Cambridge intitolata Discourse on climate Delay analizza proprio come i dati sul clima e la paura per ciò che accadrà possano portare alla paralisi), dall’altro, però, con l’allenamento necessario si può trasformare questa paura in stimolo, trasformandola in un’emozione diversa, portatrice di idee ed entusiasmo.
In questi casi, quindi, l’informazione è la base da cui partire per riuscire a comprendere cosa sta accadendo nel mondo che circonda la propria azienda, in che modo può toccare l’organizzazione e cosa l’organizzazione stessa può fare per limitare i danni e contemporaneamente avere un impatto positivo sul contesto. Allo stesso modo, però, riuscire a comprendere e a far emergere le emozioni che vivono all’interno dell’azienda può aiutare a trovare la strada migliore e più condivisa per raggiungere gli obiettivi che ci si pone.
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