L’esperienza del Senior Practitioner: modulo 9
Il detto dice che quando si chiude una porta si apre un portone. Per il Senior Practitioner in Business Coaching potremmo prendere in prestito la saggezza popolare per affermare che quando si chiude l’ultimo modulo si apre l’autostrada che porta all’inizio di un nuovo modo di vivere la propria professione (o, in alcuni casi, di iniziarne una nuova). La 43a edizione si è conclusa: abbiamo chiesto a Enrico De Santis, General Director di IFOM, che cosa gli ha lasciato questo percorso e quali sono i suoi prossimi obiettivi ora che la sua cassetta degli attrezzi da Business Coach si è riempita.
- Ci racconti qualcosa su di te e sul motivo che ti ha spinto a iscriverti al Senior Practitioner in Business Coaching?
Ho sempre lavorato in grandi organizzazioni e tutte le esperienze che ho avuto mi hanno insegnato che quello che realmente fa la differenza per il successo di un’azienda, prima ancora che la competenza tecnica e tecnologica, è il fattore umano. Per cui saper creare motivazione e mantenerla alta, sia a livello di team che dell’intera organizzazione, riuscire a gestire le interazioni e massimizzare le capacità dei singoli è un aspetto fondamentale se si vuole essere efficaci.
Quindi al di là dell’esperienza sul lavoro, degli studi e delle letture (non smetto mai di tenermi aggiornato) che sicuramente mi hanno aiutato a preparare il campo, a un certo punto mi sono reso conto che altrettanto importante era avere degli strumenti strutturati e dei metodi consolidati.
Nelle organizzazioni in cui ho lavorato ho assunto anche il ruolo di Direttore del Personale, quindi ho avuto a che fare con i Coach che ho selezionato per portarli in azienda e le esperienze che ne sono derivate sono state ottime. Quando ho scelto di intraprendere anche io questo percorso ho chiesto a loro quale fosse il modo migliore per prepararsi e tutti mi hanno consigliato SCOA, quindi sono arrivato qui seguendo i consigli di chi prima di me ci era già passato. - In questo nono modulo avete visto l’ultimo strumento da mettere nella cassetta degli attrezzi: la gestione dell’impasse. Quali sono i vantaggi che hai potuto sperimentare con questa tecnica?
Non ho ancora avuto la possibilità di sperimentarlo davvero in una sessione con un Coachee, ma da quello che ho visto nelle esercitazioni in aula direi che il vantaggio principale è quello di riuscire a mettere una persona davanti a punti di vista diversi. Durante le lezioni abbiamo visto la tecnica delle due sedie, in cui il Coachee che è incerto tra due strade, che si ritrova davanti a un bivio di scelta, occupa fisicamente in maniera alternata una sedia oppure un’altra, impersonificando in ciascuna posizione una delle due scelte. Questo espediente dà l’opportunità di estraniarsi dai propri abiti e valutare le proprie opzioni di scelta in modo quasi impersonale, come dall’esterno. Di fatto si attiva un dialogo tra le due anime che ci tirano in direzioni opposte e questo permette di acquisire strumenti e formulare riflessioni che portano a valutare tutte le implicazioni di pensiero, le emozioni e le conseguenze. L’impressione che si crea è che il dilemma sembra che riguardi qualcun altro e questo permette di mantenere un punto di vista più oggettivo. È molto potente e molto utile. - In che modo il Business Coaching è entrato nel tuo modo di svolgere il ruolo di General Manager? Come lo usi?
La differenza principale è che do maggior peso all’ascolto, sia di me stesso che di quello che succede all’esterno e nelle persone attorno a me. Ascoltarmi di più mi consente di essere consapevole della mia zona di comfort, che implica sia sapere come uscirne sia saperne valorizzare le risorse che la costituiscono. In questo il tempo è diventato fondamentale: rispettare il tempo nel concreto diventa “banalmente” (si fa per dire) prenderselo, sfuggire alla fretta, capire quanto è lungo l’intervallo temporale che serve. Tutto questo permette poi di scalare la marcia e quindi dare qualità ai propri pensieri, sospendere il giudizio quando si dialoga con gli altri, fare quello sforzo in più per non prevaricare ciò che le persone con cui collaboro pensano. Quindi direi che l’uso che faccio dell’approccio del Business Coaching per svolgere il mio ruolo è quotidiano. Noto la differenza rispetto a prima perché sono più consapevole delle mie capacità e competenze, di come le posso migliorare e di come posso supportare le persone che lavorano con me nel fare lo stesso. - Il percorso è arrivato alla fine: che effetto ti fa sapere di aver raggiunto questo traguardo? Quali sono gli apprendimenti che più ti sono rimasti addosso?
Nove moduli sembrano pochi, ma è stato un percorso lungo ed impegnativo. Quando è iniziato avevo curiosità, ma anche un pizzico di timore per le cose che avrebbe potuto muovere, immaginavo che sarebbe stato un cammino prima di tutto su di me, ma non immaginavo così tanto. Ora che si è chiuso provo un entusiasmo e una soddisfazione incredibile. Cosa ho imparato di più? Sicuramente ho un ventaglio solido di metodi e tecniche da adottare, poi mi sono portato a casa il concetto fondamentale del q.b. (“quanto basta” è la risposta a qualunque dubbio, perché più si va avanti più si capisce che non ci si può sempre affidare a regole standard, ma il portato del Coachee cambia tutto) e soprattutto, come dicevamo prima, la capacità di lavorare sulla consapevolezza di me stesso e sull’ascolto. E poi sul prendere tempo, rallentare, dedicare spazio per la consapevolezza. Anche la fase di studio ha fatto la differenza: già da prima ero un vorace lettore di libri su questi temi, alcuni di quelli consigliati li avevo già nel mio radar, ma durante le lezioni ho ricevuto tantissimi stimoli per approfondire ulteriormente, anche magari passando da temi che abbiamo affrontato nel corso e che prima non avrei ritenuto fossero collegati. - E ora? Quali sono le tue aspettative e i tuoi obiettivi futuri riguardo al Business Coaching?
Al momento sento di essere ancora nella fase di allenamento e quindi ho bisogno di concentrare su di me tanti degli insegnamenti, facendo leva sugli strumenti acquisiti per portare avanti la mia crescita ogni giorno sul lavoro in relazione al mio ruolo. Non escludo però che tra qualche tempo questo si possa trasformare davvero in una nuova avventura anche professionale. Oggi quindi tengo ancora tutto un po’ per me, come strumenti miei, ma terminate le 100 ore di pratica non escludo di poter scegliere di trasformarlo in una professione in futuro e per questo il mio prossimo obiettivo è la certificazione. Idealmente vorrei riuscirci nella prima metà del 2025, ma molto ovviamente dipenderà dagli impegni di lavoro. Intanto vado avanti ad allenarmi e tengo le dita incrociate!