Senior Practitioner in Business Coaching: cosa succede dopo?
Quando finiscono i nove mesi di Senior Practitioner in Business Coaching si direbbe che il grosso del lavoro sia stato fatto… ma c’è ancora un pezzo di strada da percorrere. Quello che aiuta però sono gli apprendimenti che sono rimasti addosso durante e dopo le lezioni, l’incoraggiamento che arriva dal gruppo dei compagni e anche le prime soddisfazioni che scaturiscono dalla pratica sperimentale, come i cambiamenti che iniziano a diventare evidenti nei comportamenti dei Coachee. Cosa succede, quindi, quando ci si lascia alle spalle anche il nono modulo del Senior Practitioner? Lo abbiamo chiesto a due partecipanti della 42a edizione: Gloria Bagdadli, Global retailing Director di Lavazza Group, e Valentina Calamari, HR Manager di GF Piping System Italia.
- Raccontateci di voi e di cosa vi ha spinto a iscrivervi al Senior Practitioner in Business Coaching.
Gloria Bagdadli: Lavoro come Retail Manager per una grande azienda e nel mio ruolo sia il business che le persone sono centrali. Il mio incontro con il Coaching è avvenuto più di dieci anni fa, quando sono stata la Coachee di un Coach che aveva fatto il corso SCOA: un percorso che mi è stato utile e ha fatto crescere il mio interesse. Essere stata Coachee sperimentale mi ha fatto vivere meglio me stessa in azienda e mi ha fatto intuire la potenzialità dello strumento. Essendo appassionata di percorsi, formazione e di crescita, quando ho deciso di diventare Coach a mia volta mi sono documentata sulle scuole: la scelta è ricaduta su SCOA perché, oltre ad essere quella in cui si era formato il mio Coach, è la prima società ad aver portato il Business Coaching in Italia, quindi ha una veste molto importante sul mercato. Così a fine 2022 ho colto l’occasione per iscrivermi, ed eccomi qua.
Valentina Calamari: Io sono nel settore delle Risorse Umane dal 2003, in azienda dal 2008 e ora sono HR Manager. Negli anni ho avuto la possibilità di formarmi sul campo, ho avuto Mentor molto interessanti che mi hanno dato la possibilità di acquisire tante competenze. Nella mia situazione però vedevo due limiti: il primo era che stare dentro un’azienda fa perdere un po’ il contatto con il mondo esterno; il secondo era che volevo darmi un metodo per sfruttare al meglio le mie competenze. Così ho deciso di approcciarmi al Business Coaching e mi sono iscritta al Senior Practitioner di SCOA: avevo voglia di rimettermi in discussione con professionisti diversi, quindi per me è stato importantissimo vedere che avremmo avuto un insegnante diverso in ogni modulo. Credo che la diversità porti innovazione, accrescimento e apprendimento e confrontarmi con professionisti così differenti mi ha dato la possibilità di migliorare, ho avuto tantissimi punti di confronto e ispirazione. - Quali sono stati gli apprendimenti acquisiti che ancora oggi, dopo mesi dalla fine del percorso, ritenete siano stati più utili?
GB: Sicuramente mi ha aiutato a sviluppare una migliore capacità di ascolto, una maggiore consapevolezza di me stessa e la costruzione di una mia rafforzata centralità, e questo mi consente di avere una maggiore apertura verso gli altri. Anche il mio stile di leadership è cambiato: da direttivo, rapido e portatore di soluzione, mi sto allenando a mantenere uno stile più collaborativo, prendo tempo, cerco di lasciare più spazio agli altri quando lavoro con il team e le persone.
VC: Io ho trovato illuminanti le dieci competenze del Coach. Vederle scritte e andare a leggere tutti i comportamenti relativi, focalizzarsi su quelli che devo sviluppare, anche quelli che non pensavo fossero fondamentali: è stata una presa di coscienza molto forte. Anche io ho lavorato e lavoro tantissimo sulla gestione del sé, ma anche sull’autorevolezza e sul tatto: per noi HR non è facile perché tendiamo sempre a mettere qualcosa di nostro, a entrare nella discussione, mentre invece ho capito che se si riesce a fare un passo indietro si crea lo spazio per il successo del Coachee. Le dieci competenze senza dubbio sono state la svolta.
GB: Poi c’è da dire che le competenze, unite anche all’insegnamento dei diversi docenti, mi hanno fatto capire che le persone possono essere unite da valori e comportamenti, ma ognuno può farlo a modo suo. Comprendere questo, insieme alla maggiore consapevolezza di sé, dà anche la possibilità di reinterpretare il proprio modo di essere un Coach. - In che modo la vostra vita professionale è cambiata dopo la fine del Senior Practitioner in Business Coaching? Che effetto questa disciplina ha avuto sul vostro ruolo, sugli altri e, più in grande, sul business?
GB: Sicuramente la vita professionale è cambiata in meglio. I benefici sono numerosi, si lavora meglio con gli altri, ci si relaziona diversamente sia con i capi che con i colleghi e questo ha degli effetti positivi sulla soddisfazione riguardo al proprio lavoro. E poi è bellissimo rendersi conto che si aiutano gli altri a vedere se stessi, si danno loro gli strumenti per illuminare il loro spazio facendo vedere cose che prima restavano nell’ombra.
VC: Sono d’accordo: il Senior Practitioner ha migliorato la mia capacità di stare nelle relazioni e soprattutto mi ha insegnato a prendere le distanze dalle situazioni interne all’azienda. Uno degli effetti più visibili è quanto io abbia imparato ad apprezzare il silenzio: è un insegnamento che ho appreso da uno dei docenti, ovvero prendersi del tempo tra risposte e domande. Prima io il tempo me lo mangiavo, anticipavo anche quello che l’altro voleva dire. Questo cambiamento mi sta permettendo di ottenere risultati migliori in azienda, dove lo stile Coaching è necessario. Ci siamo così poco abituati che a volte con il silenzio spiazzo le persone con cui parlo, eppure è proprio una leva per ottenere risultati migliori: il mio ascolto attivo è migliorato, faccio domande aperte, sto più zitta. Certo, per mettere in pratica quello che ho imparato ci è voluto uno studio molto intenso: nove weekend di corso comportano nove mesi di applicazione.
GB: Sì, credo che questo sia un punto rilevante da sottolineare: quando si decide di percorrere questa strada bisogna sapere che è impegnativa, sia in termini di tempo che di volontà di mettersi in gioco. Parte del tuo tempo libero sarà dedicato a questa attività e per chi lavora in azienda è importante tener conto del fatto che l’azienda ne trarrà dei grandi benefici, ma l’impegno è elevato, anche nella sperimentazione e dopo che il corso è finito. È un’attività extra abbastanza impegnativa. Quello che ci ha aiutato è stato sicuramente il gruppo: eravamo persone diverse, interessate e motivate, unite dall’entusiasmo. Senza questa componente il rischio è di abbandonare il percorso.
VC: Sono d’accordo, il nostro gruppo aveva un’energia speciale, alla fine del percorso ci dispiaceva lasciarci. Però essere stati bene dal punto di vista umano ha alleggerito il fatto che durante le settimane ci si porta dietro tutto quello che si è appreso ed è un bel pacchetto di emozioni. Bisogna mettere in conto che ci sarà stanchezza, ci sarà fatica perché non tutto torna indietro subito. In senso positivo ci siamo prosciugati: abbiamo preso e dato tutto di noi stessi. Però ora i risultati si vedono, gli effetti di questa esperienza sulla vita lavorativa sono notevoli e il merito è del metodo, dei docenti e anche del gruppo. - Quali sono le vostre ambizioni o le prossime tappe nel vostro percorso da Business Coach?
GB: L’ambizione principale in questo momento è trasformare l’allenamento in una pratica quotidiana naturale: come quando si impara a guidare o sciare e si fanno le cose spontaneamente perché sono completamente interiorizzate. Non è un passaggio semplice, la naturalezza va costruita giorno per giorno, e per farlo bisogna fare pratica in azienda, ma anche nelle relazioni personali. Mi piacerebbe prendere la certificazione, spero entro l’inizio del 2025, in modo da poter iniziare a praticare, parallelamente all’attività in azienda, anche il Business Coaching, per poter continuare a vedere altre realtà e aiutare il Coachee a vedere la sua. È un allargamento di visione reciproco, potremmo dire che è un altruismo condito con un po’ di egoismo per l’apprendimento.
VC: Nel breve termine mi aspetto di finire i tirocini sperimentali con soddisfazione, e con questo intendo che vorrei vedere il successo nella pratica con il Coachee, accorgermi che il potenziamento che percepisco io lo percepiscono anche gli altri. L’ambizione più grande è riscontrare che l’allenamento ha avuto effetto sui miei Coachee, di adesso e futuri. Voglio diventare una buona Business Coach, valida, a disposizione per chi ha necessità e crede in questo percorso, sia interno all’azienda che esterno. Spero di riuscirci entro fine 2024, massimo inizio 2025.
GB: Un’ulteriore area che mi piacerebbe approfondire è il tema del Team Coaching: generare energia e potenza grazie al Team che collabora in un certo modo è una grande leva per il futuro. Lo vedo come un’evoluzione del Business Coaching 1to1: mi è già capitato di usare alcuni strumenti del percorso all’interno dei Team, mi piacerebbe continuare ad allargare il fuoco per valorizzare le squadre. - Perché in questo momento c’è bisogno di Business Coaching nel mondo del lavoro?
VC: Con lo stile Coaching si possono allenare le competenze, che spesso sono identificate dal Manager. Capita molto frequentemente, però, che durante il percorso il Coachee scopra competenze che gli sono sconosciute o che non vengono tanto utilizzate e che lavorandoci emerga che proprio quelle competenze che non considerava possono migliorare le performance. Il Business Coaching serve perché attraverso il metodo permette di tirare fuori chi è davvero la persona e come si mette in gioco, portandola al successo e mettendola davanti a scoperte illuminanti in un modo che non sarebbe possibile con un altro strumento. Solo attraverso il Coaching possono venire fuori.
GB: Quello che vedo che sta accadendo in questo periodo è la necessità di uno spostamento di focus dalla performance al significato. Io sono cresciuta con un modello di performance di successo, di risultato, che ha sempre guidato le aziende, ma ora il mondo sta cambiando e lavorare su di sé, allenare aspetti tecnici che vanno a potenziare un mondo di soft skills (che oggi sono più rilevanti rispetto a quelle tecniche) è molto più efficace. In un contesto in cui si parla sempre di più di work-life balance, di quanto le persone siano insoddisfatte, penso che il Business Coaching possa favorire per le persone una ricerca interiore affinché trovino il loro significato all’interno del business, anche con un’accezione di potenziamento di competenze e capacità inespresse. L’approccio al Business Coaching non è quello di un percorso problema-soluzione, ma è la ricerca di uno spazio personale, di un allenamento per vivere meglio in azienda, un modo di cambiare la cultura in positivo. Risponde quindi a problematiche molto attuali ed è un vero e proprio benefit.
VC: Aggiungo anche che il Business Coaching può essere uno strumento utile alle aziende anche per fidelizzare i dipendenti. Avere uno spazio per esprimersi, per il dipendente, significa sapere che l’azienda ha caring, ha a cuore il benessere delle persone. Inoltre, spostando dalla quotidianità, permette alle persone di essere più centrate e consapevoli. I vantaggi hanno un doppio target, quindi, sia l’azienda che i dipendenti.