Negli ultimi cinque anni, il mio lavoro di ricerca e consulenza nelle organizzazioni si è rivelato straordinariamente generativo e ricco di scoperte.
Ho coniugato il livello teorico, quello pratico – sui diversi progetti – e quello riflessivo, anche grazie alla qualità dei diversi supervisori, mentori, colleghi che mi hanno accompagnato nel riflettere e comprendere le organizzazioni. In questo lavoro di ricerca ho una domanda guida: come possono le organizzazioni diventare organismi viventi adulti, maturi, saggi? Parliamo di un concetto solo all’apparenza vago e teorico: il Riconoscimento.
Ho avuto l’opportunità di collaborare con realtà eterogenee: multinazionali, start up, medie e piccole aziende, anche padronali, associazioni, federazioni, cooperative, spaziando dal profit al no profit, dal sociale alle organizzazioni scolastiche. E mentre la mia comprensione cresceva, parallelamente prendevo consapevolezza di quanto sia vasto ciò che non conosco e – forse – non si conosce ancora.
Nonostante la complessità dei contesti, alcuni elementi cardine sono emersi con chiarezza: le organizzazioni di successo sono quelle che riescono a creare ambienti di lavoro che valorizzano e nutrono il potenziale umano e relazionale, permettendo alle persone di autorealizzarsi come singoli e come gruppo, mentre perseguono gli obiettivi primari dell’organizzazione.
In questo lavoro di ricerca e azione ho una domanda guida: come possono le organizzazioni diventare organismi viventi adulti, maturi, saggi? Una saggezza che permetta loro di crescere in maniera sostenibile e creare contesti sostenibili, creativi, nutrienti per le persone che ci lavorano. Che permetta loro di rispondere alle pressioni di contesti imprevedibili e alle richieste di continue extra-performance. Come possono rispondere in maniera saggia più che reagire istintivamente con soluzioni semplicistiche e improvvisate? E perché parliamo di Riconoscimento?
Organizzazioni come organismi viventi saggi
L’altra domanda guida è: come possiamo noi consulenti, coach, mentori organizzativi supportare le organizzazioni che vogliono diventare sagge? Una prima risposta che mi sono dato è stata la riflessività. Ne ho parlato in passato ad esempio in questi articoli:
– Quando la saggezza diventa protagonista in azienda
– Pratica riflessiva per autosviluppo
La riflessività è un antidoto alla reattività. Portare la riflessività nelle organizzazioni ha a che fare con il rallentare, con l’inserire uno spazio tra percezione (delle pressioni del contesto), l’emozione (che ne deriva) e l’azione conseguente. Uno spazio di sospensione, di riflessione, che permetta al pensiero di dare significato alle situazioni complesse e generare risposte, soluzioni, azioni e comportamenti adeguati.
Questo disinnescare le reazioni automatiche e attivare nuove alternative comportamentali, fuori dagli schemi e dalle convinzioni, genera innovazione, soluzioni significative, apprendimento e maturità organizzativa.
Come portiamo nelle organizzazioni questa riflessività? La portiamo ad esempio con il Coaching, il Mentoring, la consulenza di processo, il counseling organizzativo, la facilitazione del Riconoscimento. La portiamo in individuale, nei gruppi e nei team funzionali e di lavoro. Creare gruppi che pensano è un valore tanto immenso quanto, talvolta, svalutato dalle organizzazioni sempre più orientate al fare e al fare velocemente.
Relazionalità nelle organizzazioni
Questo riferimento a “gruppi che pensano” richiama un secondo filone di ricerca di una risposta alla domanda guida precedentemente riportata: la relazionalità. Anche su questo argomento troverete alcuni articoli:
– E se la chiave di sviluppo delle organizzazioni fosse nelle relazioni tra persone?
– Si fa presto a dire mentoring
Lo sviluppo organizzativo relazionale (M. Korpiun, 2020) è una seconda direzione di intervento per creare quella che io chiamo “infrastruttura relazionale” dell’organizzazione. L’infrastruttura relazionale è, per me, l’insieme delle relazioni collaborative all’interno dell’organizzazione.
Se questa infrastruttura è solida l’organizzazione ha delle fondamenta robuste che le possono permettere di crescere in maniera sostenibile per sé e per il contesto esterno. L’infrastruttura è solida quando è costituita da relazioni di reciprocità, intersoggettive, in cui i membri dell’organizzazione hanno la capacità di cooperare e co-creare per uno scopo condiviso.
Le comunicazioni sono trasparenti, circolari grazie al reciproco feedback e riconoscimento spontaneo e sincero. Questo rende il clima positivo, ricco di fiducia reciproca. I manager hanno bisogno di competenze specifiche per coltivare nell’organizzazione questo tipo di cultura delle relazioni.
Siamo nel campo della complessità, in cui intervengono più fattori tra loro interdipendenti: le cause inducono degli effetti che a loro volta inducono impatti sul sistema che si riflettono sulle cause originarie, contribuendo all’emergere di situazioni difficili da governare. Nell’infrastruttura relazionale ci sono almeno 3 ordini di complessità.
Primo ordine di complessità: numerosità delle relazioni
Il primo riguarda la numerosità delle relazioni. In un gruppo in cui ci sono 3 ruoli abbiamo 3 connessioni tra loro interdipendenti. Per interdipendenza si intende quel fenomeno socio-relazionale tale per cui, se si verifica un mutamento di stato di uno dei membri del gruppo, questo influenza anche gli altri con ripercussioni sul primo membro.
I rapporti tra le cause e gli effetti non sono lineari ma circolari. Siamo in un sistema complesso. All’aumentare del numero dei membri cresce in maniera esponenziale il numero di connessioni, come in figura. Quindi, se in un gruppo abbiamo 14 ruoli, abbiamo ben 91 relazioni in azione.
Secondo ordine di complessità: interpretazione dei ruoli
Il secondo ordine di complessità deriva dal fatto che ciascun ruolo è interpretato da una persona che può avere un proprio livello di comprensione e interpretazione dei confini di quel ruolo, di quali siano le finalità, il contributo, i comportamenti che ci si aspetta da quel ruolo nel contesto organizzativo. Può avere poco chiaro anche l’impatto che questi aspetti risultano avere indirettamente sul contesto esterno all’organizzazione e sulla sua capacità di raggiungere gli obiettivi che vuole raggiungere.
Le persone possono avere un basso livello di consapevolezza e un basso allineamento tra di loro su questi aspetti. È possibile che ciascuno interpreti il proprio ruolo con un proprio sistema di riferimento, poco allineato con gli altri.
Terzo ordine di complessità: relazioni interpersonali
Il terzo livello di complessità riguarda la relazione tra gli individui che interpretano i diversi ruoli, ciascuno con il proprio livello di consapevolezza sul contesto interno ed esterno.
Quando parliamo di relazione non abbiamo più una semplice connessione tra due punti di un grafico: abbiamo un’interazione complessa su più livelli tra loro interdipendenti. C’è un livello di comunicazione che in parte è esplicita, alla luce del sole come nella figura qui sotto; in parte la comunicazione è implicita, sotto il livello del mare nella metafora in figura.
C’è poi un livello delle dinamiche relazionali e uno delle dinamiche emotive tra le persone che interpretano i loro ruoli. Queste dinamiche possono essere funzionali o non funzionali e sono interdipendenti tra loro e con i livelli della comunicazione e delle interazioni tra ruoli.
L’interdipendenza tra questi livelli può far emergere caratteristiche che supportano la collaborazione tra due ruoli o che la rendono faticosa, con un impatto sul resto del sistema organizzativo.
Quando disegniamo un sistema organizzativo composto da ruoli, organigrammi, funzioni, processi, sistemi operativi, obiettivi, KPI, ci stiamo occupando della punta dell’iceberg dando per scontato che il sistema umano sottostante con la sua complessa infrastruttura relazionale non interferisca. Spesso succede anche il contrario: gli interventi di sviluppo manageriale e organizzativo si focalizzano talvolta sui singoli individui e sullo sviluppo di certe competenze, senza considerare l’interdipendenza con la struttura organizzativa e sulla relazione con il resto dell’infrastruttura relazionale.
Sia i consulenti di sviluppo manageriale e organizzativo che i manager devono saper lavorare con il sistema complesso che integra tutte le sue parti. Una delle regole delle scienze e degli approcci alla complessità è che il divide et impera, ridurre il problema in problemi più piccoli per risolverli, nei sistemi complessi non è solo inutile, risulta anche dannoso.
Strategie di sviluppo relazionale
Come interveniamo sull’infrastruttura relazionale? Lavoriamo sulla relazionalità ad esempio sviluppando competenze sulla complessità e sulla relazione collaborativa nel management in modo che si diffonda la capacità di prendersi cura dell’infrastruttura relazionale dell’organizzazione. Oppure sviluppando programmi di corporate mentoring e coaching, counseling organizzativo nell’organizzazione, per lavorare su gruppi e team mettendoli in connessione tra loro. Oppure sviluppando funzioni interne di coaching e mentoring organizzativo.
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Quello del riconoscimento è un tema complesso merita ulteriori approfondimenti, che verranno esplorati nella prossima parte dell’articolo, dove entreremo nel dettaglio del processo di riconoscimento e del suo impatto nelle organizzazioni.
La Parte 2 di “Come il Riconoscimento può essere un motore di crescita e benessere organizzativo” verrà presto pubblicata sul nostro sito.