LA CREATIVITÀ AL SERVIZIO DEL COACHING: I SEGRETI DEL MODULO 7
Il Modulo 7, che abbiamo chiamato “Le risorse creative del Cliente e l’ampliamento della visione”, è il modulo di creatività nel nostro percorso Senior Practitioner in Business Coaching, il fiore all’occhiello dell’offerta di SCOA per chiunque si avvicini al mondo del Business Coaching.
Il Modulo in questione per dieci anni è stato gestito e plasmato da Anja Puntari. Rappresenta il momento in cui i partecipanti scoprono la dimensione creativa del coaching e come tale dimensione creativa permetta al coachee di entrare in una dimensione operativa e, quindi, di agire. Ne parliamo direttamente con Anja, con l’obiettivo di approfondire dettagli e peculiarità della sezione più creativa all’interno del percorso di formazione di un Business Coach.
Il Modulo 7 è diviso in due giornate. Come funziona e quali sono gli scopi della prima?
La prima giornata è principalmente incentrata su quello che definiamo Visual Business Coaching, un approccio al coaching che ho messo a punto sulla scorta della mia esperienza nel mondo dell’arte. Come artista visiva, una delle mie sfide principali è stata infatti quella di riuscire a utilizzare l’arte visiva, e i mezzi dei visual in generale, come strumenti in grado di aiutare le persone ad approcciare le sfide della loro vita lavorativa in una maniera nuova e diversa.
Durante il primo giorno, i partecipanti imparano quindi a come fare uso di vari strumenti creativi visivi, partendo da giocattoli di plastica fino ad arrivare a ritratti e opere d’arte, che in questo modulo diventano propedeutici alla gestione di strumenti più tradizionali dal mondo del business, come l’utilizzo dei post-it in una maniera strutturata.
Una delle parole chiave della prima giornata è infatti “visualizzare”. Attraverso l’uso dei visual, aiutiamo il coachee ad avere uno spettro più ampio di alternative e soluzioni. In sostanza, rendiamo più semplice da visualizzare quello che in tanti casi è semplicemente un concetto astratto, un pensiero che spesso equivale a matassa difficile da sbrogliare.
Potresti fornirci alcuni esempi?
Per comprendere al meglio e mettere a fuoco le relazioni in un contesto lavorativo possiamo ragionare su vicinanza e lontananza di due oggetti disposti su un piano. Nella gestione di un team, per esempio, visualizzare i diversi membri del team stesso permette di ragionare in una maniera più concreta e ordinata. Quanto è salutare e quanto crea valore tenere insieme delle persone o allontanarle? Il momento in cui gli occhi mettono a fuoco, visualizzano, fa sì che un concetto resti ancorato alla memoria in una maniera molto più efficace rispetto alla parola parlata. Scrivere, disegnare, fotografare, inoltre, rendono ancor più time effective il coaching stesso perché ci permettono di legarci a qualcosa di visivo a cui è più facile fare riferimento a distanza di mesi, aspetto fondamentale nell’ambito di un percorso che dura dai sei agli otto mesi.
L’uso dei visual è tanto prezioso in questo modulo perché crea due movimenti in apparente contrasto: semplifica e apre. All’inizio di un percorso di coaching chiedo spesso al coachee di visualizzare il suo contesto organizzativo con i visual; giocattoli, animali di plastica, disegni, testi. L’insieme di questi fa emergere l’organizzazione nella sua complessità: i vari team, la cultura organizzativa, le competenze, i competitor e così via. In un unico snapshot, in una singola immagine, il coachee può visualizzare un insieme attraverso una grande opera di sintesi e semplificazione.
Al contempo, lavora anche sulla parte emotiva. Genera un’apertura nella dimensione emotiva perché un’immagine ha la forza di smuovere e andare in profondità, spesso molto più delle parole. “Scelgo un certo ritratto che rappresenti il mio capo, perché lui mi guarda sempre in un determinato modo, che genera in me una grande irritazione”: è sufficiente un’immagine, da cui scaturisce una reazione emotiva molto più veloce e istantanea rispetto alle parole.
Sull’utilizzo dei visual, con l’andare del tempo, abbiamo creato in SCOA anche uno strumento di coaching vero e proprio, che si chiama Flowknow®, che i partecipanti vanno ad assaporare durante il modulo creatività e di cui ricevono un piccolo gadget in omaggio.
- Quali sono, invece, gli obiettivi della seconda giornata del Modulo 7?
Il secondo giorno entriamo nella dimensione dell’azione e cominciamo realmente a parlare di emozioni, che sono il grande tema del Modulo 8, interamente dedicato all’argomento e a come, attraverso un determinato gesto, noi riusciamo a portare il coaching in azione. Nel nostro agire quotidiano, siamo spesso bloccati da ostacoli interni o esterni, pregiudizi o condizionamenti.Per questo motivo, dopo una giornata dedicata alla capacità di visualizzare, passiamo alla capacità di elaborare una determinata situazione o delle difficoltà, sulla scorta della consapevolezza che abbiamo generato sfruttando i visual.
In questa fase utilizziamo un modello molto utile creato da Gian Franco Goeta, fondatore di SCOA.
Gian Franco divide i modi dell’essere in quattro: le quattro dimensioni dello stare nel mondo. Vi è una dimensione interna, che consiste nel pensiero, poiché un essere cognitivo pensa ed è in grado di elaborare. Questa è la dimensione emotiva ed è interna, è strettamente nostra, anche se spesso crediamo erroneamente che alcune nostre emozioni vengano trasferite all’altro esattamente nel modo in cui le percepiamo. In realtà, non è così: io posso provare agitazione, ma tu la puoi percepire come nervosismo.
Nella dimensione esterna il pensiero si traduce nel “dire”, produrre parole e dire delle cose, o nel “fare”, agire e compiere azioni. Queste reazioni dipendono da vari pattern: esistono persone che passano prima dall’elaborazione dell’emozione e quindi dal “dire”, mentre altre tendono maggiormente a un’azione immediata, una esternazione istantanea rispetto a ciò che hanno percepito. Nelle organizzazioni, nel mondo del business, questa consapevolezza dei differenti pattern comportamentali è fondamentale. Sapere che io, che ricopro il ruolo di capo, sono una persona che passa molto velocemente all’azione, mentre un mio collaboratore è riflessivo e necessita di più tempo per agire, può semplificare di molto le dinamiche relazionali ed evitare di viverle con fatica o frustrazione.
L’obiettivo primario del Modulo 7 è, prima che dare uno strumento in mano ai partecipanti, aiutarli a mettere a fuoco quale sia il loro di pattern. Per essere un coach, serve avere consapevolezza e quindi aver fatto l’esperienza del coachee: non posso allenare gli altri senza conoscere me stesso. A differenza del primo giorno, molto più facile da spiegare in termini teorici, il secondo è molto esperienziale e può essere meno scrutinato a livello di teoria.
- Nei dieci anni in cui hai gestito il Modulo 7, che si occupa di creatività, cosa senti aver creato in relazione al modulo stesso?
Sicuramente ho e abbiamo messo a fuoco tutto quello che è l’utilizzo del visual, quindi tutta la prima giornata. Il lavoro svolto in questi dieci anni parte dall’esperienza fatta con e grazie ai clienti di Performant, un check fondamentale che ci ha permesso di migliorare il nostro approccio al coaching e personalizzarlo a seconda delle necessità dei nostri clienti e del mercato. Ovviamente in ogni edizione i partecipanti portano in aula le loro esperienze, le loro emozioni e la loro di creatività. Una cosa che mi è capitata molte volte è aver avuto partecipanti in aula che, all’inizio delle due giornate, hanno dichiarato di non essere creativi affatto. Molto spesso, al termine della seconda giornata, se ne sono andati via entusiasti di aver scoperto che la creatività è qualcosa che appartiene a tutti noi, basta lasciare spazio per farla emergere. - Secondo la tua esperienza di coach, come impatta sulle persone e tipo di dinamiche di gruppo genera il Modulo 7?
Dobbiamo premettere che le tecniche di creatività sono introdotte nel Modulo 7 del percorso Senior Practitioner per un motivo preciso: nei primi sei moduli, i partecipanti si esercitano sul modello SCOA, acquisendo una solida conoscenza pratica del coaching. Questo li rende pronti a integrare le tecniche creative nelle sessioni. È come imparare a scrivere prima di comporre una canzone: serve una base solida prima di aggiungere elementi più complessi. Sebbene la creatività non venga formalmente insegnata nei moduli iniziali, i partecipanti hanno sperimentato vari esercizi creativi, come visualizzazioni e icebreaker, ma senza usarli direttamente con i clienti. Nel Modulo 7, imparano invece a utilizzare queste tecniche nelle sessioni di coaching, passando dall’esperienza personale all’applicazione professionale.
Inoltre, questo modulo non è solo un percorso individuale di apprendimento per diventare coach, ma anche un’esperienza collettiva di condivisione e crescita in aula. Si verifica una sorta di “catarsi” in cui i partecipanti smettono di essere un semplice gruppo di individui iscritti a un corso e diventano un vero gruppo coeso, basato sulla fiducia reciproca. Le barriere relazionali si abbassano e la dimensione del “trust” diventa tangibile, un elemento essenziale per il coaching. Questa esperienza vissuta dai partecipanti riflette ciò che un coach deve essere in grado di creare nella relazione con il proprio coachee, rendendo il Modulo 7 fondamentale per la formazione.
- In definitiva, quali conclusioni possiamo trarre sull’importanza della creatività in un percorso di Business Coaching?
La tecnica creativa è uno strumento. Non ti rende un coach migliore. È un qualcosa che tu, in qualità di Business Coach, puoi estrarre dalla tua cassa degli attrezzi nel momento di necessità. Non è l’opera definitiva, non è il punto di arrivo, è piuttosto un colore, uno dei tanti mezzi per raggiungere un fine molto più complesso.