Se prendiamo in esame la letteratura e le proposte di formazione sul tema della leadership, scopriamo che l’attenzione è centrata prevalentemente sulle competenze e sul comportamento individuale del capo. Da un punto di vista sistemico, tale approccio appare riduttivo perché dà un peso eccessivo alla relazione capo – collaboratore e trascura le altre relazioni sistemiche che concorrono a determinare le dinamiche organizzative.
Partiamo dalla domanda: “A cosa serve una guida in un gruppo di lavoro o in un’organizzazione?” Tra le tante funzioni immaginabili, quella essenziale mi sembra la seguente: orientare e coordinare le scelte dei membri dell’organizzazione in momenti di cambiamento nel contesto. Finché la situazione è stabile e tutto procede secondo la routine non serve un capo.
Invece, quando le cose cambiano, l’organizzazione deve ritrovare una nuova risposta coordinata. Ciò può avvenire in molte maniere e colui che riveste il ruolo di capo vi può contribuire in svariati modi. A mio avviso però, sia nella prassi aziendale, che nella consulenza e formazione, si tende ad attribuire al capo un potere sproporzionato.
Cosa c’entra il pensiero sistemico con la leadership?
In una visione sistemica appare più utile descrivere la leadership come funzione del sistema nel suo insieme, anziché concepirla come responsabilità esclusiva del capo. Come osservatore sistemico mi chiedo: come si sta organizzando questo sistema per rispondere ai cambiamenti nel contesto?
Siccome la teoria sistemica reputa l’organizzazione un sistema di atti di comunicazione, mi chiederò: come hanno strutturato la comunicazione, su cosa stanno focalizzando l’attenzione? A quali segnali hanno attribuito senso e significato e quali stanno, invece, trascurando?
Certamente osserverò anche il capo, analizzerò la sua maniera di influenzare la comunicazione nell’organizzazione e cercherò di comprendere come il suo contributo incida sulla capacità del sistema di rispondere in maniera appropriata alle sfide e alle opportunità.
In altre parole, la prospettiva principale che scelgo per osservare la leadership non è il comportamento del capo, ma la comunicazione che si sviluppa nell’organizzazione in risposta alle sfide del contesto.
La psicologa Ruth Cohn ha sviluppato già negli anni Cinquanta del secolo scorso la teoria TCI (Theme Centered Interaction) e propone un modello di leadership che può essere di grande aiuto, sia per un Coach o consulente, che per un Coachee o cliente che voglia comprendere e sviluppare la capacità di leadership di un’organizzazione.
Il modello di Cohn
Il modello (da me leggermente modificato per adattarlo al contesto aziendale) è composto da quattro elementi:
- L’individuo – membro del gruppo o dell’organizzazione
- Il gruppo o l’organizzazione
- Il compito del gruppo o dell’organizzazione
- Il contesto nel quale il gruppo o I’ organizzazione è inserito
La persona che si interroga sul proprio ruolo e contributo alla leadership dovrà trovare un equilibrio dinamico tra l’attenzione:
- alle interrelazioni tra organizzazione e contesto,
- alla comunicazione e cooperazione tra gli individui per svolgere il compito
- alle proprie emozioni e pensieri rispetto al ruolo che ricopre nell’organizzazione.
Secondo Ruth Cohn l’essenza della leadership è l’arte di prendere coscienza in maniera dinamica di questi livelli di interazione: io e il mio ruolo e contributo, noi come membri di un sistema che insieme svolgiamo un compito e il sistema nel suo insieme con il contesto nel quale opera.
Nel modello TCI ciascun membro contribuisce alla leadership e quello del capo formale è soltanto uno dei tanti ruoli. Cohn parla giustamente di arte perché non esiste una maniera giusta in assoluto per esercitare la leadership, perché da un lato essa richiede un continuo allenamento di tutto il gruppo e una notevole flessibilità mentale dei singoli, dall’altro l’eccellenza del risultato emerge in maniera non prevedibile.
L’intento di questo breve articolo non può essere quello di esporre nei dettagli l’affascinante teoria di Ruth Cohn. Ciò che mi preme è illustrare con qualche esempio i vantaggi di un Coaching sistemico che affronta la leadership come funzione dell’organizzazione, anziché come competenza del capo.
A questo scopo vorrei esaminare una prima domanda che può sorgere attorno al tema della leadership in un processo di Coaching:
“Quale posizione e quale orientamento nel sistema assume il capo per affrontare la situazione attuale?”
Nell’immaginario delle persone il capo occupa una posizione precisa nello spazio. La domanda: “da che parte sta il capo?” non è per niente retorica.
La nostra mente è strutturata per immagini, per mappe mentali, dove ciascun concetto ricopre una posizione precisa rispetto a tutti gli altri. Posso sentire il capo al mio fianco o di spalle, vicino o lontano, che guarda nella stessa direzione oppure da tutt’altra parte.
Idealmente, la posizione del capo si trova sul confine del sistema. Potremmo addirittura dire metaforicamente che il capo è il “guardiano del confine”: filtra e/o promuove la comunicazione tra sistema e contesto. Funge da interprete e messaggero. Deve creare e soddisfare aspettative diverse, sia verso l’esterno del sistema (clienti, fornitori, altri reparti, direzione, ecc.) sia verso l’interno del sistema (processi, risorse, bisogni individuali, ecc.)
Se rappresentiamo la posizione che il capo assume in una situazione specifica nella mappa mentale collettiva, ci rendiamo conto che non esiste una posizione ideale in assoluto. Per comunicare, ma anche per agire, dobbiamo focalizzare la nostra attenzione, ovvero decidere in quale direzione orientare il nostro sguardo e con quale prospettiva (ampia o ristretta) osservare la situazione. Se, per esempio, comunico con un collaboratore che ha infranto una regola sulla sicurezza, su quali aspetti è bene che focalizzi l’attenzione?
Sulla mia rabbia, sul suo comportamento specifico, sul suo contributo al lavoro del gruppo, sugli effetti concreti del suo comportamento, sulle conseguenze potenziali di un comportamento simile, sul rischio di sanzioni che corro come capo, sulle ragioni dell’ infrazione, sulla chiarezza e sensatezza della regola infranta, sulla reazione dei colleghi all’infrazione, sulla cultura d’impresa che determina il rispetto di questo tipo di regole… Questo semplice esempio ci fa comprendere che non esiste una posizione e prospettiva giusta in assoluto e che non è neanche possibile tener conto di tutti gli aspetti.
Se, però, analizziamo la posizione concreta che il capo ha assunto in una determinata situazione, possiamo scoprire quali aspetti richiederebbero in questo momento maggiore attenzione e quale posizione migliorerebbe il coordinamento della comunicazione e delle azioni del gruppo per rispondere alle sfide della sicurezza. In altre parole, possiamo scoprire in che modo potrebbe favorire la leadership nel sistema.
Un esempio di Management Constellation e applicazione della leadership
Torniamo all’esempio citato e immaginiamo che il nostro Coachee o cliente voglia chiarire come comportarsi con un collaboratore che infrange le regole sulla sicurezza. In un’intervista sistemica lo inviteremo ad esplorare la situazione da diverse prospettive e gli potremo porre, per esempio, le seguenti domande:
- In quali occasioni e in che modo si parla di sicurezza nella vostra organizzazione?
- Come giudica il livello di attenzione alla sicurezza nella sua organizzazione?
- Siete soddisfatti del numero (limitato) di infortuni e di situazioni rischiose rilevati?
- Come reagiscono i colleghi a una persona che viola le regole sulla sicurezza?
- Come vengono giudicate le regole sulla sicurezza dai vari membri della sua organizzazione?
- A chi viene attribuita la responsabilità per la sicurezza nella sua organizzazione?
- Quali sono i fatti che secondo lei meritano attenzione?
- Come pensa che il suo collaboratore giudichi il proprio comportamento?
- Quali sono le sue ipotesi (implicite) sulle ragioni del comportamento del collaboratore?
- Che tipo di relazione gli vuole proporre per il colloquio? Una relazione gerarchica o alla pari?
- Qual è esattamente il risultato che si attende dal colloquio?
Solo dopo averlo invitato ad allargare il più possibile il campo delle prospettive di osservazione, potremo chiedergli di formulare la domanda alla quale cerca una risposta, ovvero di scegliere la prospettiva che ritiene più utile, e potremo accompagnarlo nella ricerca di una risposta.L’approccio sistemico alla leadership è sicuramente sfidante. Ci invita ad affrontare e sostenere un elevato grado di complessità che possiamo gestire nei seguenti modi:
- concentrandoci via via sul prossimo passo, anziché sulla soluzione perfetta
- fidandoci dell’intuizione, che riesce a gestire un grado di complessità superiore rispetto al ragionamento razionale
- adattando i passi successivi con grande flessibilità all’evoluzione della situazione.
Un atteggiamento sistemico ci invita a riconoscere con umiltà i limiti del nostro potere. Questi limiti sono dovuti a vari fattori:
- alla difficoltà di gestire consapevolmente le nostre reazioni inconsce ed automatiche.
- al fatto che il senso del nostro messaggio non lo decidiamo noi, ma il destinatario.
- al fatto che nessun attore ha il potere di determinare da solo le dinamiche del sistema, e che l’unico modo per essere efficaci è di entrare in risonanza con gli altri.
- che ciò che conta non è la mia bravura di immaginare una soluzione, ma come la mia comunicazione incide sulla reazione che il sistema nel suo complesso (il team o l’organizzazione) sviluppa rispetto alle sfide o alle opportunità che emergono nel contesto.
Se con questo articolo ho suscitato più domande che risposte, ciò è senz’altro nelle mie intenzioni e mi piacerebbe continuare un dialogo con voi lettori per approfondire questo tema affascinante.